BLACK SWAN THEORY


Da poco nelle sale italiane, Black Swan è apparso per la prima volta negli Stati Uniti nel 2010, per la regia di Darren Aronofsky (vd. Requiem for a dream). Black Swan è uno di quei film che ti s’insinua nella mente e ti accompagna per la strada durante il ritorno dal cinema. Te lo porti dietro come uno strascico impertinente che si impiglia ad ogni passo sui tombini. Ti chiedi come mai ti sembra ancora di aver davanti agli occhi una ballerina di danza classica che piroetta vertiginosamente
su di sé. Tutto nero. Partiamo da qui, dal nero. Nero è il cigno dionisiaco, il cigno che sente su di sé tutta la forza stremante delle passioni. Nero è il cigno che si lascia prendere dal più grande entusiasmo o dalla più devastante disperazione, non conosce sfumature, per questo è nero. Percepisce sulla sua pelle solo l’intensità. Il cigno bianco è invece il grazioso volatile dalle piume pettinate e ben aggraziato, ordina lo spazio che lo circonda e con raffinatezza si lascia coccolare dalle onde del lago. Cigno nero e cigno bianco vivono nello stesso essere, come due facce di una stessa medaglia, scura e chiara. Questa infatti l’intenzione del regista della New York City Ballet
Company, impersonato da Vincent Cassel, che vuole ridare gloria al suo teatro rivisitando il celebre Swan Lake di Tchaikovsky. Alla ricerca del cigno danzante in grado di sopportare ed esporre la tensione insolubile tra passione e ragione Cassel rivolge il suo interesse alla candida e pressoché vergine Natalie Portman, detta Nina. La ballerina, dotata di un talento eccezionale e rigorosa nello studio della danza, non riesce però a farsi investire dalle forzeirrazionali del cigno nero, che però sente prossime. Per un istante, la graziosa perde il lume e con un atto di violenza controllata aggredisce il direttore perché innervosita dalla possibilità di non prendere il ruolo. Inizia ad uscire la forza. Così Nina viene scelta interprete del cigno bianco e di quello nero. La giovane graziosa si lascia prendere sempre più intensamente dalle forze oscure del piumaggio corvino e gioca il suo ruolo per annullare le barriere che potenzialmente la separano dall’irreale.
Comincia la perdita del limite del sé, comincia la psicosi (così detta). Comincia la follia di chi si apre alla vita, di chi non riesce ad essere se non vivendosi fino all’estremo. Pur rischiando di precipitare nell’abisso sottostante, l’uomo che patisce soffre per vivere, ama la vita e l’accetta pur nella sua più grande pulsione di morte ma allo stesso tempo di piacere. Allucinazioni, violenze fisiche, masturbazioni. Nina non riesce più a separare ciò che vive dentro di sé e ciò che sta vivendo come cigno nero. La sua vita non ha più contorni che la proteggono dal divampare dell’arte. Percepita per la prima volta questa forza sublime, la ballerina si spinge a visitare i luoghi più bui che la interpellano dentro di sé.
Irruzione dell’assenza di senso, irruzione dell’imperfezione. Imperfezione che risiede nella tecnica, perfezione che vive nell’errore di farsi coinvolgere fino alla perdizione. Fusione completa tra vita e arte. Fusione che ogni tanto si coglie anche a livello filmico. Infatti, a volte si ha l’impressione di assistere ad un’opera dentro l’opera. Le musiche sono eccezionali, e la fotografia di Matthew Libatique arriva a cogliere le più tremolanti eccitazioni nervose. Il cigno nero schizza fuori dallo schermo piroettando come un irresponsabile animale passionale. Ti vorrebbe stordire e confondere. Chissà. Il finale del film è un crescendo vertiginoso che tira la pelle, strizza gli occhi e rovescia lo stomaco. Anche lo spettatore comincia a perdere le barriere che lo separano dalla sua sediolina rossa. Comincia a piroettare piroettare piroettare sempre più forte, fino al salto nel vuoto che lo attira. Il cigno nero è là. Nero. Muore. Vive.

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