I LOVE FAR EAST FILM FESTIVAL

Si conferma anche quest’anno a Udine il successo ormai consolidato da ben 11 edizioni del Far East Film Festival, che nel mese di aprile per 9 giornate ha ospitato il cinema orientale. Per pochi giorni, la tranquilla cittadina friulana si trasforma in un punto d’incontro per la cultura cinematografica contemporanea “mittelasiatica”, tra bancarelle di oggettistica “made in orient” e bookshop sparsi per tutto il centro della città. L’inaugurazione del Festival ha avuto luogo il 23 aprile presso il Teatro Giovanni da Udine, e ha dato inizio ad una vera e propria scorpacciata di film. Oltre 60 lungometraggi proposti dal panorama asiatico e che in patria sono già campioni d’incassi. Dopo la cerimonia d’apertura della kermesse, la prima serata è iniziata con la proiezione di Sophie's Revenge della regista Eva Gin, la quale orchestra in questa pellicola una divertente commedia romantica. Non sono mancate nemmeno le anteprime mondiali, come The Arrival del regista filippino Erik Matti, ormai noto habitué del festival. Anteprima assoluta è stata anche quella del Giapponese Sakichi Sato con la sua spassosa crime story Bugs Detective. Un altro ritorno è quello segnato dalla presenza del regista di Hong Kong, Pang Ho-Cheung con lo "slasher"Dream home, che ha chiuso strepitosamente la prima giornata della manifestazione. Come ogni anno il Festival non si fa mancare la presenza di registi esordienti, come ad esempio il timido cinese Qing Yang con il suo primissimo lungometraggio One night in a supermarket. Base portante del suo lavoro è il montaggio che sembra sviluppare un linguaggio proprio. La pellicola, definita “black comedy” e ambientata in un anonimo supermarket in un’altrettanto anonima città cinese, è incalzata da una serie di eventi disastrosi che portano i personaggi di questa storia in una spirale, apparentemente senza alcuna via di fuga. Non sono mancati neanche gli acclamati ritorni del calibro di Wilson Yip che, dopo Ip Man, presentato nella scorsa edizione, torna con il sequel. Assolutamente imperdibile per tutti i devoti del rassegna e per gli appassionati del terrore è l’Horror Day. È tradizione ormai consolidata che durante l’arco di tutta la giornata di mercoledì venga proiettata una serie di film a tema horror. Tra scene sanguinolente e urla spaventate, non mancano tra il pubblico anche fragorose risate che spezzano la tensione in sala. A presentare il secondo film di questa serata, un inquietante thriller horror dalle torbide atmosfere psichedeliche intitolato Slice. È salito sul palcoscenico anche Federico Zampaglione, dopo il suo attesissimo horror movie Shadow. Come sempre sono state immancabili le retrospettive proposte sul cinema visionario, quest’anno ben due: la prima dedicata a una delle più famose case di produzione giapponese, la Shin–Toho e la seconda invece al regista Patrick Lung Kong. La sera di sabato primo maggio, la rassegna si è conclusa in festa con la proclamazione da parte del pubblico del film Castaway on the moon quale vincitore. Si è aggiudicato i premi Black Dragon Audience Award e l’Audience Award. Alla pellicola Accidental Kidnapper il pubblico assegna il secondo posto per il Black Dragon Audience Award e il terzo posto per l’Audience Award. Da non mancare l’appuntamento il prossimo anno.

LA CENA DI EMMAUS

Baricco ad Emmaus fa faville. Stilisticamente sciolto e lineare, lo scrittore torinese mette in fuga le parole una dopo l’altra con ritmo onesto e incantato. Preso nell’entusiasmo del passato, rivive a denti stretti l’educazione sentimentale di quattro sedicenni che, pagina per pagina, perdono la loro innocenza irrompendo nel mondo reale. Baricco non pecca di virtuosismi, e questo è un merito che non gli si può non riconoscere. La lettura del suo Emmaus scorre veloce e armoniosa, tesa ad un filo sottile che lascia raramente spazio a pause ridondanti o eccessi di protagonismo. La presenza grigia dell’autore si fa strada nel linguaggio disinvolto del protagonista che spicca per sensibilità, proponendo riflessioni ardite sulla condizione esistenziale di noi tutti, con un parlare piuttosto disincantato, e per bene. Il racconto di un adolescenza perduta ma non troppo, infatti “abbiamo tutti sedici, diciassette anni – ma senza saperlo veramente, è l’unica età che possiamo immaginare: a stento sappiamo il passato.” Ecco il mondo che vede Baricco, un mondo normale, normato, un mondo tenuto ben dentro i propri contorni rassicuranti, incapace di sconfinare altrove, tranquillizzato dalla propria ignoranza o falsa che sia. Verrebbe da chiedersi allora perché quest’insonnia? Perché quest’impossibilità di andar oltre l’adolescenza della vita, presi in una paralisi emotiva e morale troppo dentro la nostra società perbenista occidentale? Al di là dell’immacolata pagina bianca, intonsa e nuda, lo scrittore Baricco intravede uno spiraglio di mancata lucidità, un’alba alla soglia dell’immaturità fuggitiva che, imprendibile come l’animalesca Andre, non si concede… Rassicurante o no, qualcosa si scorge. I quattro discepoli se ne vanno a zonzo per tutto il libro in cerca di scorgere il mistero insondabile del bene e del male, secondo parametri incerti e fiuto sottile. Seguendo il filo d’Arianna-Andre i nostri eroi, uno ad uno, lasciano cadere i propri vestiti, le proprie sovrastrutture sociali e religiose, per ritrovarsi un po’ più privi di maiuscole ma pur sempre dentro un campo di forze ingestibili. Prima Bobby, che si incontra clandestinamente con la sinuosa sirena Andre, la giovane smaliziata, figlia di un mondo diverso, disilluso ma non privo d’incanto, portatrice di una realtà elegante e sofferente (sull’orlo apparente del suicidio). Lui suona il basso e lei danza. Liberati da costrizioni e doveri, godono nell’esprimere la loro arte, denudati, soli e malinconici. Poi Il Santo – figura mistica quanto dissacrante – preso a tal punto dalla ricerca dei suoi demoni, lo diventa egli stesso. Come se il confine tra santità e malvagità fosse a tal punto confuso da non distinguerne più i confini. Luca invece decide di liberarsi dal peso della vita, dal fardello culturale che pesa su di lui, dalla famiglia equilibrata ma a suo modo folle, dalla paura di dover esser grandi. Ognuno di loro, a suo modo, esce da queste pagine liberato da un potere schiacciante, ma caricato anche di un peso più duro da condurre, quello della consapevolezza, della brutalità della vita.
Nei mesti movimenti che agiscono sui quattro giovani torinesi è preponderante la presenza della religione, della chiesa cattolica all’italiana. Nel bianco romanzo, c’è una non velata critica, o presa d’atto, dell’inattualità di un linguaggio troppo distante dalla realtà crudele e disincantata di oggi. Si avverte la presenza di una forza che spinge altrove, che tenta di allargare quel campo di sapere talvolta così schiacciante da render ciechi, come i discepoli di Emmaus davanti a Gesù risorto. Sulla pelle degli uomini si consumano le piaghe di un potere, qualsiasi esso sia, che sembra gestire ogni angolo delle nostre vite ma che in realtà se ne fa beffe sotto i baffi. Al di là di tutto, al di là della religione, resta l’uomo nella sua solitudine di uomo. E il senza nome protagonista narrante le vicende del noi-io, forse lo stesso autore, racconta a ritroso i suoi anni giovanili come se questi condensassero l’intera sua educazione, la sua vita arrestata lì, nel punto in cui è caduta quella certezza di felicità. Denudatosi di sé e del mondo è forse pronto ad un sorriso più amaro, o forse no. A noi lettori, invece, rimane il desiderio e la speranza di ascoltare lo educato e siffatto scrittore Baricco cimentarsi su più sorprendenti cammini, verso lochi inesplorati e meno facili. Per così dire, ci si aspetta di meglio.

AGORA', IPAZIA SECONDO AMENA'BAR

Gesù Cristo. I discepoli. I farisei. Agorà non fa altro che riproporre un Vangelo in cui le “parabole” e i “miracoli” sono la scienza e la filosofia, mentre i carnefici sono i cristiani delle origini, dei ceffi rozzi detti “parabolani”. Ipazia è una filosofa e donna di scienza che vive ad Alessandria d'Egitto tra il quarto e il quinto secolo d.C., nel periodo in cui il cristianesimo diventa religione ufficiale dell'ormai morente Impero Romano. A causa del suo rifiuto a sottostare a un qualsiasi culto, viene uccisa. È una donna che insegna: “Se io e te siamo uguali, anche il terzo è uguale a noi” (siamo tutti fratelli); si oppone ad ogni forma di violenza (porgi l'altra guancia), è un personaggio che non si piega al potere, credendo nella scienza e nella filosofia al di sopra di tutto, anche della vita, come fossero divinità. Nulla di nuovo, quindi. Esattamente come Gesù Cristo nella maggioranza delle rappresentazioni, di umano ha poco più che l'aspetto. È circondata da personaggi dalle molteplici sfaccettature, che sbagliano, si emozionano, si struggono (come il prefetto Oreste e lo schiavo Davo). Lei invece non fa un errore, perdona le violenze, si fa uccidere senza ribellarsi, non vuole essere difesa e non fa nulla per difendersi, fedele fino in fondo alle sue idee. Pensa soltanto “alle stelle”, ai suoi studi astronomici. Inutile dire che, pur essendo un film che evidenzia i crimini del primo cristianesimo, sia imbevuto di retorica e di eroismo all'americana. Da un regista europeo ci si poteva attendere un film più riflessivo, con un personaggio ben caratterizzato, meno ieratico. Il sapere non è lontano e sacro, non è un'icona da appendere al muro che per essere profanata dev'essere staccata dal chiodo. Il sapere è vivo, rimbalza, scuote, si compromette, incespica, a volte è antipatico o nervoso. Non è imponente e flemmatico, non dà sicurezze come fa invece la figura di Ipazia, che a parole dubita sempre, ma nella recitazione, nella postura, nei gesti, nel modo, sembra non dubitare mai. Mi sarei aspettata una donna vivace, provocatrice, carismatica, che trascina le folle. Pare infatti che il suo ruolo storico sia più vicino alla strada che al tempio: essendo una neo-platonica Ipazia non insegnava a una ventina di eletti, ma parlava in piazza, e chi era in grado di rispondere o di fare delle domande veniva trattato alla pari. La filosofa era una figura forte e importante a livello politico: questo è probabilmente il vero motivo della sua uccisione (e non solo, come nell'intreccio, la paura che ella influenzi i suoi amici illustri). Ma sono diversi i punti della pellicola dove la verità storica è passata in secondo piano. Ad esempio, per sottolineare l'austerità della protagonista, sono stati inventati due amori non corrisposti. Le scene in cui si sarebbe potuto travisare il rapporto tra la filosofa ed altri uomini sono state però riproposte in tutti i trailer e le recensioni pre-proiezione per rendere il prodotto-film più appetibile, spesso travisandone il contenuto reale. Inoltre il personaggio di Sinesio, figura anticonformista nella chiesa del tempo, sposato, con figli e contrario a molti dogmi della chiesa nascente, nel film è un cieco osservatore delle leggi cristiane. E ancora: la biblioteca che si vede distruggere dai parabolani (e che costituisce la scena più toccante dell'intreccio) non è quella simbolo della città, ma il Serapeo, una biblioteca minore; il film abbonda di spade, nonostante ai tempi, a causa dei disordini sociali, ad Alessandria fosse proibito portare armi. Ipazia è stata infatti scuoiata viva con delle conchiglie affilate, cosa che nel film le viene (e ci viene) risparmiata. Della trama è interessante il contenuto sociale, molto forte anche oggi: il fondamentalismo religioso porta morte ed emarginazione sociale, è il genocidio della cultura e della società stessa. Oreste non si inchina di fronte al vescovo Cirillo dopo aver ascoltato un testo lesivo per la dignità delle donne, e per questo “pecca” e rischia il linciaggio. Lo Stato è costretto a piegarsi al volere della religione, qualsiasi cosa essa dica, perché le masse ne sono condizionate. Il film, a tratti acuto, spiega anche perché la religione dei parabolani attirasse tanto il popolo: si vede come effettivamente non tenessero oro con sé, vivessero con poco e non ci fosse differenza tra uno schiavo e una persona di un altro rango. Il prezzo di queste novità era l'accanimento contro chiunque professasse una fede diversa, o peggio nessuna. Soprattutto nel caso di una donna.

VALENCIA

Hola chicas y chicos. Se, come è stato per me, vi state chiedendo se l'erasmus è un'esperienza piuttosto che un'opportunità per imparare una nuova lingua, conoscere nuova gente e perchè no evadere per un periodo da Trieste e dintorni, questo articolo potrebbe aiutarvi a prendere questa “difficile” scelta.
Si parla spesso delle differenti fasi che uno studente erasmus attraversa durante la sua esperienza: la prima e in assoluto la più difficile è l'adattamento, la seconda e più divertente inizia nel momento in cui realmente si capisce di vivere un'esperienza unica nel suo genere, la terza – alla quale non sono ancora arrivato – si dice essere quella in cui tornati in patria non si riesce più a tornare alla solita routine pre-erasmus.
Valencia è una città fantastica da questo punto di vista, il divertimento ti aspetta ad ogni angolo di strada. Il primo periodo si esce di casa per le 22,30 e ti ritrovi a dire ma che città morta, non c'è nessuno in giro, fino a quando arrivata l'1 non riesci nemmeno ad entrare in un locale per bere qualcosa e ti accorgi che in realtà è solo iniziata la serata. Non è uno scherzo, basti pensare che per andare in una discoteca qualunque non ci si entra prima delle 4 sennò rischi di ballare solo con i tuoi amici, le bariste e i buttafuori.
Un capitolo a sé va riservato all'alcol e qui voglio dare un consiglio a voi partenti, ricordate di mettervi in lista d'attesa per un fegato nuovo prima ancora di montare sull'aereo.
Sempre in questo periodo si inizia a fare i turisti. Si fa a gara con gli amici a chi ha visto più monumenti piuttosto che musei, bioparchi, oceanografici e chi più ne ha più ne metta. Valencia da questo punto di vista è una città che abbina l'antico, come torri risalenti ai tempi dei Mori, al moderno, come la Ciudad de las artes y las ciencias (città delle arti e delle scienze) una serie di edifici (il museo del Principe Felipe, l'hemisferic e il famoso oceanografico di Valencia) progettati e fatti costruire da Calatrava, l'architetto modernista famoso anche per aver progettato a Venezia il ponte che porta tuttora il suo nome.
Altro pregio di questa città è senza dubbio il lavoro svolto sul vecchio fiume Turia che attraversava la città. Fiume che è stato prosciugato per lasciare spazio ad un enorme giardino lungo circa 10 km dove i valenciani vanno a correre, giocare a calcio o a rugby nei molti campi creati ad hoc, a passeggiare ammirando le innumerevoli fontane che di notte assumono i più svariati colori oppure se il tempo lo permette a fare “botellon” (tipico ritrovo dove ognuno si porta da casa una bottiglia rigorosamente ripiena d'alcol e la sorseggia fino a terminarla insieme ai suoi amici che nell'arco della serata si moltiplicano “magicamente”).
Come non si può, inoltre, non parlare della spiaggia. Accanto alla struttura portuale di Valencia – per intenderci la stessa che questo febbraio ha ospitato la Coppa America di vela – inizia la spiaggia che prosegue interminabile a vista d'occhio, punto di ritrovo d'estate, il giorno per prendere il sole e farsi il bagno, la notte per i già citati botellon estivi.
In definitiva devo spezzare una lancia a favore della cucina spagnola. A parte l'assenza di pasta – problema arginabile cucinando in casa – i salumi, la carne e il pesce sono tra i più buoni che abbia mai mangiato, per non parlare della paella e le tapas (per chi non lo sapesse sono delle piccole porzioni di cibo che possono essere di pesce,carne o salumi).
Insomma se qualcuno era indeciso se fare o meno l'erasmus spero di aver sciolto qualche dubbio e il mio consiglio non può che essere sempre lo stesso "l'erasmus? S'ha da fare".

EDITORS – IN THIS LIGHT AND ON THIS EVENING TOUR

Give the machines a human feel, ovvero dare alle macchine un tocco umano. È la frase del leader Tom Smith, che identifica in tutto e per tutto la nuova linea musicale intrapresa dagli Editors con il loro nuovo cd In this light and on this evening. La band di Birmingham, dopo essersi affermata con i primi due album The back room e An end has a start, pubblica nell’ottobre del 2009 un nuovo lavoro che li porta ad avvicinarsi ad orizzonti musicali più cupi, e vicini alla musica elettronica, dove prevale l’uso di campionatori e sintetizzatori.
Uno sguardo su internet: l’annuncio sul sito ufficiale delle nuove date del tour europeo e la data del concerto a Zagabria, 18 aprile 2010. Purtroppo l’evento non è stato molto pubblicizzato in Italia e l’acquisto dei biglietti è stato possibile solamente online. Ma, in fin dei conti, Zagabria non è molto lontana da Trieste, due orette di macchina e si arriva. Il concerto si svolge nella famosa discoteca Aquarius, situata nella zona decentrata della capitale croata in prossimità del lago Jarun.
Ancor prima di partire… notizia dell’ultim’ora: il concerto, inizialmente previsto alle ore 21:30, viene posticipato alla mezzanotte e un minuto in seguito alla proclamazione del lutto nazionale per le vittime dell’incidente aereo del 10 aprile, dove hanno perso la vita gli uomini del governo polacco.
Partenza ritardata e si arriva in una Zagabria addormentata dove di gente ce n’è ben poca ed i locali antistanti non sono popolati. Sembrava ci fossero i presupposti per un concerto con poca partecipazione del pubblico, ma la gente comincia ad arrivare verso le 23:30. Minuto dopo minuto, l’afflusso è sempre più massiccio, gruppi di persone si allineano a lato della strada che porta al locale e si fermano nell’area prossima dell’ingresso. Detto fatto, neanche mezzora ed il locale registra il tutto esaurito! Dato il massiccio afflusso di gente e la struttura del locale lungo e stretto, la visibilità non è delle migliori, ma dopo una breve attesa le luci si spengono, la band entra in sala e il pubblico rumoreggia. Partono in punta di piedi gli Editors con la traccia che dà il nome al loro ultimo album In this light and on this evening, il brano è un crescendo strumentale che riscalda la folla. Ma con il disco seguente si cambia registro, An end has a start = energia&carica, una delle hit più famose della band. Risultato: i fans in delirio! Il gruppo alterna tracce del loro ultimo lavoro con i successi degli anni precedenti: Bones, Bullets, The racing rats, Fingers in the factories, Bricks and mortar, You don’t know love, Like treasure, per citarne alcuni. Si passa da ritmi più decisi e incalzanti a scenari più cupi ma carichi di suggestione, il leader del gruppo si avvicenda tra pianoforte e chitarra elettrica dando prova delle sue qualità canore e strumentali. Il resto del gruppo non è da meno, l’interpretazione è perfetta e il finale trascinante. In sequenza vengono eseguiti i successi maggiori: Smokers outside the hospital doors, Papillon e Munich sono scandite dalla maggior parte dei presenti. Emozioni, mani al cielo e tutti che sgomitano per applaudire: Hvala!
Qualcuno li paragona ai Joy Division, qualcuno li riavvicina ai Depeche Mode ma di sicuro sentiremo parlare degli Editors nei prossimi anni.

Per maggiori informazioni:

BRUNCH

Cari studenti, è arrivata la primavera e l'estate è alle porte. La sindrome delle nottolate del sabato sera comincerà a contagiarvi, nonostante gli esami da preparare, e voi comincerete a svegliarvi incagolati, pigri, ma soprattutto affamati. La soluzione che fa per voi è il BRUNCH!Il brunch, come saprete, è una contrazione di breakfast e lunch: una sorta di buffet vario, che può spaziare dal dolce al salato, dalle uova alla frutta, da servire di solito tra le 10 e le 12 ( ma dipende dall'ora del vostro risveglio). Deve essere facile, veloce, divertente e utile (soprattutto se avete l'urgenza di svuotare il frigo prima che alcune masse informi vi chiamino “mamma”).Ecco quello che vi occorre:

una manciata di amici con i postumi e le occhiaie;
una vasca da bagno di caffè (da bere o per infilarci gli amici da riportare nel mondo dei vivi);
“vanzumi” ovvero ciò che vi rimane delle spese o cene precedenti (risotti, pasta, prosciutto, formaggi, verdure, frutta, pane ecc...)

Esempi di preparazioni:
Il risotto freddo fa schifo. A MENO CHE non ci facciate delle palline (magari infilandoci in mezzo un cubetto di mozzarella e una puntina di salsa di pomodoro), le passiate prima nella farina, poi nell'uovo sbattuto, poi nel pangrattato e infine le friggiate.
Pasta pasticciata: la pasta avanzata si può sempre pasticciare ulteriormente con ritagli di prosciutto, verdure, salsa di pomodoro, formaggi per poi ficcarla nel forno a gratinare.
Dolce di pane raffermo: affettate il pane raffermo (mi è sempre piaciuta la parola “raffermo”), in una terrina versare del latte (prima che sia diventato troppo acido), dello zucchero e, a scelta, un uovo. Inumidite le fette di pane e disponetele in una teglia imburrata e poi coperta di pangrattato. Su questo primo strato di pane spargete poca uvetta prima ammollata in un po' di acqua tiepida e poi strizzata, qualche cubetto di mela “fiapa” (molliccia), della cannella o scaglie di cioccolato. Ricoprite con un secondo strato di pane. Continuate con gli strati finché avrete finito il pane. Decorate con delle rondelle di mela ed eventualmente della cioccolata. Infornate finché la cosa abbia un aspetto dorato.
Altre idee possono essere macedonie, spiedini di mozzarelline e pomodorini, verdure crude tagliate a bastoncini...
Il brunch può essere una specie di buffet, ognuno degli amici può portare la sua specialità da consumare insieme non necessariamente a casa: all'aperto, in Carso o sul molo Audace, è perfetto.

Nel mondo:

In Turchia l'estate è caldissima. Ci si sveglia tardi e si rimane in casa finché praticamente il sole non sia sceso, poi si esce fino all'alba. La colazione, servita a ora di pranzo, comprende formaggi di capra tipo feta (peynir), olive e pomodori, pane tipico (simit) e marmellatine, frutta di stagione (ad esempio angurie e fichi).
In Germania amano fare un'abbondante colazione perché a pranzo i tedeschi sopravvivono anche solo con un tramezzino. In compenso alla mattina ci danno giù di cappuccino zuccherato, pane burro, prosciutto e salame. Assicuro: delizioso!
In Norvegia hanno un formaggio meraviglioso fatto a cubetto che sa un po' di caramello (brunnost) e si taglia a fette sottili con un apposito coltello a paletta e si mette sopra al pane, a piacere si può spalmarci sopra la marmellata. Anche un tubetto ripieno di uova di pesce va alla grande.
In Svezia, invece, vanno molto fieri dei loro deliziosi dolcetti da forno, muffins di tutti i tipi, dolcetti alla cannella o cardamomo o pasta di mandorle da accompagnare al caffè americano. Non disdegnano però neanche i formaggi, le aringhe ed il pesce affumicato! Yum!
A parte l'Italia, non sono molti i paesi dove la colazione si predilige in assoluto dolce anziché salata, così, per variare il solito “capo in b” con brioche, perché non sbizzarrirsi con un bel brunch?