AGORA', IPAZIA SECONDO AMENA'BAR

Gesù Cristo. I discepoli. I farisei. Agorà non fa altro che riproporre un Vangelo in cui le “parabole” e i “miracoli” sono la scienza e la filosofia, mentre i carnefici sono i cristiani delle origini, dei ceffi rozzi detti “parabolani”. Ipazia è una filosofa e donna di scienza che vive ad Alessandria d'Egitto tra il quarto e il quinto secolo d.C., nel periodo in cui il cristianesimo diventa religione ufficiale dell'ormai morente Impero Romano. A causa del suo rifiuto a sottostare a un qualsiasi culto, viene uccisa. È una donna che insegna: “Se io e te siamo uguali, anche il terzo è uguale a noi” (siamo tutti fratelli); si oppone ad ogni forma di violenza (porgi l'altra guancia), è un personaggio che non si piega al potere, credendo nella scienza e nella filosofia al di sopra di tutto, anche della vita, come fossero divinità. Nulla di nuovo, quindi. Esattamente come Gesù Cristo nella maggioranza delle rappresentazioni, di umano ha poco più che l'aspetto. È circondata da personaggi dalle molteplici sfaccettature, che sbagliano, si emozionano, si struggono (come il prefetto Oreste e lo schiavo Davo). Lei invece non fa un errore, perdona le violenze, si fa uccidere senza ribellarsi, non vuole essere difesa e non fa nulla per difendersi, fedele fino in fondo alle sue idee. Pensa soltanto “alle stelle”, ai suoi studi astronomici. Inutile dire che, pur essendo un film che evidenzia i crimini del primo cristianesimo, sia imbevuto di retorica e di eroismo all'americana. Da un regista europeo ci si poteva attendere un film più riflessivo, con un personaggio ben caratterizzato, meno ieratico. Il sapere non è lontano e sacro, non è un'icona da appendere al muro che per essere profanata dev'essere staccata dal chiodo. Il sapere è vivo, rimbalza, scuote, si compromette, incespica, a volte è antipatico o nervoso. Non è imponente e flemmatico, non dà sicurezze come fa invece la figura di Ipazia, che a parole dubita sempre, ma nella recitazione, nella postura, nei gesti, nel modo, sembra non dubitare mai. Mi sarei aspettata una donna vivace, provocatrice, carismatica, che trascina le folle. Pare infatti che il suo ruolo storico sia più vicino alla strada che al tempio: essendo una neo-platonica Ipazia non insegnava a una ventina di eletti, ma parlava in piazza, e chi era in grado di rispondere o di fare delle domande veniva trattato alla pari. La filosofa era una figura forte e importante a livello politico: questo è probabilmente il vero motivo della sua uccisione (e non solo, come nell'intreccio, la paura che ella influenzi i suoi amici illustri). Ma sono diversi i punti della pellicola dove la verità storica è passata in secondo piano. Ad esempio, per sottolineare l'austerità della protagonista, sono stati inventati due amori non corrisposti. Le scene in cui si sarebbe potuto travisare il rapporto tra la filosofa ed altri uomini sono state però riproposte in tutti i trailer e le recensioni pre-proiezione per rendere il prodotto-film più appetibile, spesso travisandone il contenuto reale. Inoltre il personaggio di Sinesio, figura anticonformista nella chiesa del tempo, sposato, con figli e contrario a molti dogmi della chiesa nascente, nel film è un cieco osservatore delle leggi cristiane. E ancora: la biblioteca che si vede distruggere dai parabolani (e che costituisce la scena più toccante dell'intreccio) non è quella simbolo della città, ma il Serapeo, una biblioteca minore; il film abbonda di spade, nonostante ai tempi, a causa dei disordini sociali, ad Alessandria fosse proibito portare armi. Ipazia è stata infatti scuoiata viva con delle conchiglie affilate, cosa che nel film le viene (e ci viene) risparmiata. Della trama è interessante il contenuto sociale, molto forte anche oggi: il fondamentalismo religioso porta morte ed emarginazione sociale, è il genocidio della cultura e della società stessa. Oreste non si inchina di fronte al vescovo Cirillo dopo aver ascoltato un testo lesivo per la dignità delle donne, e per questo “pecca” e rischia il linciaggio. Lo Stato è costretto a piegarsi al volere della religione, qualsiasi cosa essa dica, perché le masse ne sono condizionate. Il film, a tratti acuto, spiega anche perché la religione dei parabolani attirasse tanto il popolo: si vede come effettivamente non tenessero oro con sé, vivessero con poco e non ci fosse differenza tra uno schiavo e una persona di un altro rango. Il prezzo di queste novità era l'accanimento contro chiunque professasse una fede diversa, o peggio nessuna. Soprattutto nel caso di una donna.

Nessun commento: