CAFFE' E CAFFE'


Nero, ristretto o bollente. Gocciato, lungo o macchiato. Marocchino, alla “americana” o Irish coffee. Ad ognuno il suo caffè. Tra le bevande più bevute e predilette, questo siero è capace di svegliare la mente, agitare il cuore e aiutare la digestione. Tacciato in principio come bevanda del diavolo, era molto amato da Napoleone, da Proust, e sembra che Balzac ne abbia bevuti parecchi durante la stesura della Commedia umana. Goethe e Stendhal invece, non dovevano abusarne onde evitare disturbi e bruciori di stomaco. Da buon irlandese, Beckett lo preferiva corretto col Brandy. Per Voltaire non era mai troppo; Rousseau lo gustava con una goccia di latte; Diderot lo prendeva tutte le mattine al Café de la Régence. Questi ultimi tre uomini hanno passato parecchio del loro tempo nei caffè, che nel Settecento hanno avuto un ruolo sempre più importante e centrale nella città. Crocevia di persone, ci si ritrovava in questi luoghi per discutere delle novità del giorno scambiandosi idee e pensieri. Presto, queste “moderne botteghe” diventarono dei palcoscenici per gli intellettuali che partecipavano in prima persona alla vita sociale. E non è un caso se Verri deciderà di chiamare il suo giornale Il Caffè. Così, tra una tazzina e l'altra, presero vita le rivoluzioni. Come variante scenografica, nell'Ottocento si imposero i café chantant, o caffè concerto dove, oltre che sorseggiare la nera bevanda, si poteva assistere a spettacoli di vario genere.
Caffeinomani o no, oggi possiamo trovare un po' di pace in uno Starbucks dislocato in ogni angolo del mondo, o andare in pellegrinaggio in luoghi “sacri” dove molti artisti, scrittori e intellettuali hanno passato giornate e giornate ad osservare il mestiere di vivere. Nel quartiere di Saint-Germain, nell'ormai mitico Café de Flore si poteva incontrare Sartre seduto ad un tavolino, coperto da un cappotto color marrone un po' dimesso con ritagli di giornale nelle tasche. Ma anche Tangeri, magico porto marocchino, ha avuto degli illustri frequentatori: al Café Hafa Paul Bowles era di casa, mentre Jean Genet preferiva il Café El Menara. A San Francisco invece c'è il Caffè Trieste, dove Ferlinghetti si ritrovava con gli amici beat. Indiscusso però è il fascino dei caffè italiani. Basti pensare all'eleganza del Florian o del Quadri a Venezia, oppure del Pedrocchi a Padova. A Firenze, in Piazza della Repubblica dal 1897 c'è il Giubbe Rosse, che deve il suo nome dal colore della livrea dei camerieri. Qui passavano le giornate a discutere Papini e Soffici. Compariva da quelle parti anche Marinetti, che beveva il caffè con del cioccolato e un pizzico peperoncino. A Roma l'Antico Caffè Greco ha visto passare dal 1760 molti clienti illustri: dai musicisti romantici Liszt, Wagner e Mendelssohn; ai poeti Leopardi, Goethe e Gogol'; per finire con Schopenhauer e Orson Welles. Qui, nel 1919, i futuristi del Bel paese si incontrarono con Picasso e Cocteau. A Napoli dal 1860 il Gran Caffè Gambrinus è un'istituzione. Scrittori come D'Annunzio, Wilde ed Hemingway si sono goduti na tazzulella 'e cafè. Mentre a Palermo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa ha scritto pagine e pagine de Il Gattopardo nell'Antica Pasticceria Mazzara. E poi si arriva alla città del caffè, Trieste, dove dal 1914 c'è il Caffè San Marco (nella foto). Nelle eleganti sale in stile Secessione, si potevano incontrare Svevo e Joyce - che preferiva il caffè corretto whisky – o Saba e Stuparich. E se proprio non vi piace il caffè, potete sempre ordinare un tè nel deserto.

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