DA PORTSMOUTH A FORT-DE-FRANCE

L’immaginazione può essere d’aiuto fino a un certo punto ma la sensazione di attesa aumenta nervosamente più ci si avvicina al porto. Poi basta arrivare al cancello al di fuori del terminal, esibire i documenti, seguire le linee gialle che indicano la via verso l’imbarcazione tra un labirinto di pallet, container e gru… e ritrovarsi a risalire una scaletta metallica che porta dalla banchina fino al ponte di coperta. Primi saluti e prime presentazioni di rito e poi si comincia la rampa di scale tra i vari piani che portano alla cabina con vista sulle stive e sui container antistanti. Bisogna un po’ prendere le misure ed abituarsi, il cambiamento non è da poco… Letto con protezioni in legno anti-caduta, divanetto, un tavolino, una sedia, un armadietto metallico e un appendiabiti, tutti combinati in una stanza di tre metri per due e mezzo.
Il ritmo di vita a bordo è scandito da orari di lavoro rigidi e predeterminati, in porto si lavora sei ore sì e sei ore no, una volta partiti invece, vengono applicati i turni di lavoro “normali” e quindi i marinai hanno tempo di riposarsi (salvo imprevisti come tempeste o avarie al motore). L’abbandono della terra ferma e il progressivo allontanarsi della costa è una sensazione strana in quanto vengono a mancare i punti di riferimento. Più si va ad ovest e più ci si immerge nel blu e nelle sue sfumature che variano di continuo a seconda dell’ora del giorno e delle condizioni meteorologiche, man mano che ci si allontana, scemano anche le possibilità di contatto con la terraferma quindi si resta completamente coinvolti dalla vita e dalle attività di bordo; colazione dalle sette e mezza alle otto e mezza, il pranzo dalle undici e mezza a mezzogiorno e mezza e la cena dalle cinque e mezza alle sei e mezza; tutto organizzato in modo tale da permettere di mangiare a seconda dei vari turni di lavoro. La sera invece, per chi non lavora, è il momento per guardare un film, leggere un libro, fumare una sigaretta, stare in compagnia o semplicemente starsene chiusi in cabina; poi la notte si cerca di dormire ma all’inizio non è facile, le onde, le vibrazioni ed il rumore della sala macchina si fanno sentire fino ai piani superiori e le notti insonni si susseguono prima di abituarsi.
Le nazionalità a bordo sono numerose e rispecchiano anche i ruoli e le gerarchie a bordo, gli ufficiali sono russi, il capitano è europeo mentre il restante equipaggio è filippino ad eccezione degli allievi che sono anch’essi europei. La suddivisione tra nazionalità emerge anche dalle aree dedicate al pranzo e al tempo libero; gli ufficiali da una parte mentre i restanti dall’altra, creando così una sorta di segregazione all’interno dell’equipaggio. Ogni gruppo ha il suo modo di comunicare: i filippini sono più socievoli, stanno sempre in compagnia, ascoltano musica, cantano al karaoke e appena arrivati in porto non vedono l’ora di vedere un po' di gente, i russi al contrario sono più introversi, parlano poco e di solito ci mettono più tempo ad aprirsi e gli europei alla fine finiscono per passare le serate con i filippini.
Col passare dei giorni ci si conosce di più, ed emerge che ognuno ha il suo modo di interpretare la sua vita in mare; chi lo fa per passione, chi lo fa perché non ha altra alternativa e non vede l’ora di tornare a casa, chi invece non ha soldi, chi non può ottenere un contratto di durata inferiore ai nove mesi, chi invece aspira a diventare capitano a 31 anni, chi è al primo viaggio e ogni tanto gli capita di soffrire pure il mal di mare, chi ha abbandonato gli aerei per le navi, chi aspetta un paio d’anni per smettere di navigare e chi come me è solamente in vacanza. In fin dei conti ciò che accomuna tutte queste persone è il mare, si aiutano tra di loro e cercano di vivere al meglio un lavoro che in alcuni momenti non è facile.
Dopo il mare e il cielo ripetuti per otto giorni e otto notti ci si avvicina all’isola di Martinica e ci si tuffa nel suo clima tropicale e ai suoi colori che contrastano così tanto con le sfumature del blu. Terra!

Carlo Kraskovic

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