IL SAN GIOVANNINO DI LEONARDO


Perdersi per i lunghi corridoi del Louvre, inseguendo lento i tappeti rossi. L'occhio viene naturalmente catturato da quel buio cosmico per una questione fisiologica nascosta nell'ipotalamo. Ed emerge lenta la figura del Giovannino. Appare in un momento, come un'epifania. L'occhio fatica a coglierlo tra le velature dello sfumato leonardesco. I contorni vaghi. I confini della forma che si perdono nella dimensione. “Ciò che non ha termine non ha figura alcuna”, scrisse Leonardo. Il Giovannino appare in un equilibrio in dissolvenza, teso in un movimento a spirale che trova la sua realizzazione ultima nell'indice della mano destra. Gli studi di fisica di Leonardo sui vortici. L'angelo della Vergine delle Rocce.
Per motivi di sopravvivenza lo sguardo cerca gli occhi del santo che si scoprono fissare divertito, conscio dell'esperienza in bilico sul presente. Così si scende sulla bocca per sentirne la voce. E lui ride ambiguo in un trionfo illuminato di certezza. Monna Lisa.
Si scende cercando di seguirne il movimento, la spalla, la curva del braccio, e scopri un androgino del mito platonico che supera il genere. E lo si insegue mentre ruota verso l'alto, proteso al vertice della spirale, su quel dito spiegato a indicare ciò che sta oltre. Ciò che non si può mostrare o nominare.
 Negli ultimi istanti dell'epifania si tenta di coglierne i particolari sfuggiti nella ressa, turbati dal magnetismo, catturati nel vortice della leggera fisicità: i riccioli folti, il corpo cinto con una pelliccia. Finché sfuma il momento della rivelazione di un enigma taciuto e al contempo svelato, e con lui il messaggero profetico.

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