RIFLESSIONE DISORDINATA SU PARIGI - OGGI

Comincio col dare delle spiegazioni. Ho tradito, lo so, questo mese non ho scritto nessun articolo d'interesse culturale. Vorrei semplicemente condividere delle riflessioni smodate e disordinate, perchè ho l'esigenza di farlo. Mi ritrovo a Parigi, la città che ho sognato per tanto tempo, la città che ho riempito di nomi e immagini, la città che aspettavo di perquisire. Non nascondo l'imbarazzo e il colpo di forza che mi ha vomitato solitudine non appena messo piede sulle strade soleggiate di fine settembre. Ti guardi intorno e ti perdi. La realtà si confonde con l'immaginazione, la voce di Serge Gainsbourg ti segue passo dopo passo mentre attraversi le strade riscaldate dai caffè e dai calici di bordeaux frantumati a terra, perchè un vecchio ubriacone barcollando ha urtato il cameriere. Dall'altra parte della strada una giovane ragazza con un berretto nero ficcato sugli occhi e un bicchiere di carta in mano, chiede silenziosamente dei soldi e riconoscimento, si rifugia poi nella metro, la casa dei topi, la fogna che ogni giorno attraversiamo insozzandoci di facce spigolose e occhi bianchi che fissano oltre il buio, scrutano l'orizzonte ma si perdono dentro i rumori assordanti di cuffie da i-phone. Montmartre riversa l'immondizia sulle sue vie, e la chiesa ammutolita è invasa da ballerini domenicali di hip-hop. Culti sacri del profano, turisti confusi nel seguire piantine con gli occhi all'ingiù, non si accorgono delle foglie che cadono dagli alberi ma cercano con spasimo l'immagine memory che corrisponde alla loro guida turistica per, prontamente, fotografarla. Il fiume continua a scorrere, e gli anziani "umarells" giocano a bocce calcolando la geometria del pallino. La gente si perde, il tempo si perde, la vita si perde. Corri veloce e poi vedi un uomo che piange e si fa consolare, vedi un uomo che si è fatto la pipì addosso ed è solo. La città non li vuole mostrare, ma loro ti sbattono in faccia la vita. Tu devi osservarli, ci entri dentro e forzatamente ridimensioni. Tutto è allo stesso modo vano, l'annichilimento della realtà come la sua forza bruta. Il tempo si dilata e restringe il fiato, l'aria manca nell'inscatolamento quotidiano della latta rotante. Lo spazio si comprime dentro luoghi apparentemente giganteschi, ma opera dell'ingengo umano teso a riprodurre una distanza che manca, e che non si trova. La vita intera sembra prendere un vicolo più colorato e sonoro ma per questo ovattatto e protetto, fintamente isolato dal malessere sociale ma più fragile nell'istante in cui li si staccherà la corrente. L'intero globo viscido si trascina per le strade inseguendo sogni non desiderati, non conosce il piacere se non quello di assumere su di sé volontà abortite dal potere e ben aderenti al sonno. L'uomo che crede d'essere dentro se stesso, crolla. L'uomo che corre dietro al coniglio si perde non appena le luci si spengono, non trova l'interruttore, barcolla silenzioso. L'uomo a nessuna dimensione. Perché piatto più di un foglio di carta, è ripiegato nell'abisso che alimenta quotidianamente. L'uomo è solo, ma non con se stesso. Si guarda intorno ed è solo.

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