THE STORYLINES - L'INTERVISTA

-Cari Enrico e Fabrizio, grazie di condividere un po' di tempo assieme a Viadelluniversità. Perché non ci raccontate un pò com'è nato il progetto Storylines? Voglio dire, cos'è che vi ha spinto ad intraprendere questa nuova sperimentazione musicale, qual è stato il vostro intento in questo progetto?
Enrico: Gli Storylines sono lo stato attuale di una collaborazione tra di noi che dura da molti anni. Il progetto prende il via da una svolta che abbiamo deciso di intraprendere quando ci siamo resi conto che quello che suonavamo non ci soddisfava più, che eravamo un pò cresciuti. Con qualche cambio nella formazione abbiamo deciso di far nascere gli Storylines, con il non facile obbiettivo di mescolare le nostre intenzioni musicali, a volte molto diverse tra loro. Il nostro intento è quello di continuare a cercare senza spaventarci, gli Storylines hanno cambiato spesso da quando sono nati e continueranno a farlo sicuramente ancora per un bel pò.
-Tutti voi avete avuto precedentemente dell'esperienze musicali, o sbaglio? Cosa c'è di diverso in Storylines e cosa vorreste assolutamente non essere?
Enrico: Fabrizio prima di unirsi a noi suonava con i Threatcon Charlie, e lo fa tutt'ora, io Antonio e Federico (ora alle prese anche con il suo progetto solista, Jackeyed) suonavamo in questo gruppo di cui parlavo, con il quale eravamo entrati in una strada senza uscite, un circolo vizioso di una musica trita e ritrita alla quale non ci sentivamo nemmeno più vicini. Gli Storylines si sono posti come soluzione a tutto questo. Per Fabrizio invece, credo si tratti di un completamento, come noi e i Threatcon Charlie siamo in qualche modo complementari. Per quanto riguarda quello che non vorremmo essere assolutamente non saprei risponderti bene, non vogliamo essere un gruppo italiano per italiani, sicuramente, e non vogliamo sentirci arrivati neanche se mai arriveremo da qualche parte. Accontentarsi è pericolosissimo e io personalmente non sopporto la cricca del pianerottolo che si auto acclama per non essere arrivata da nessuna parte, preferiamo essere in mezzo alla rampa di scale, che sia quella sotto o quella sopra.
-È uscito in primavera il vostro secondo album June Leaves auoprodotto dalla vostra etichetta indipendente Megaphone, non è vero? Perchè non ci raccontate anche di questo progetto nel progetto?
Enrico: Il nostro primo album in realtà è il nostro primo full-lenght. I lavori precedenti sono ep di poche tracce, piccoli esperimenti confluiti poi in parte nel disco. Megaphone è stata fondamentale per noi, ma non è esattamente la nostra etichetta, è un progetto che rende partecipi i gruppi interessati della gestione delle cose e non è partita da noi. E' stupendo vedere le potenzialità di tante persone con voglia di fare che si mettono insieme, le potenzialità di Megaphone sono infinite, è quasi un collettivo. Ora stiamo lavorando intensamente alla compilation che uscirà a natale in free-download e raccoglierà brani in gran parte inediti di bands di tutta europa e italiane, un progetto di promozione reciproca e un tentativo di mostrare che esiste un sottobosco di qualità al di fuori delle scenette.
-Personalmente, Pond è forse la canzone che mi piace di più tra tutte. Come si genera la scrittura dei vostri testi e delle musiche? Seguite una linea di lavoro predefinita o il processo di creazione è libero nel tempo e nello spazio?
Enrico: Di base è un processo libero, ma è ovvio che si generi con il tempo un metodo che tende a ripetersi nel costruire le canzoni. Nel caso del nostro disco il discorso è piuttosto complicato, è quasi una raccolta di brani in parte composti molto tempo fa e in parte più recentemente. Pond è nata in una stanza di un appartamento a Montmartre, mentre stavo registrando con il microfono, fuori dalla finestra sulla corte del palazzo dove abitavo, i suoni riverberati di una festa di quartiere che si stava svolgendo a qualche centinaio di metri, niente di fintamente intellettualoide, era solo un riverbero bellissimo. I suoni erano super ovatt
ati, storpiati, più io ero un pò alienato in quel periodo e alla fine il tutto ha contribuito alla nascita del pezzo. Altri sono nati da nottate passate in sala prove, o passandoci del materiale a distanza, come SP1, nata da un campione banalissimo che avevo spedito da Parigi e che gli altri tre hanno trasformato in uno dei più pezzi più belli del disco, o altri pezzi ancora sono stati profondamente modificati in fase di mix da Fabrizio, che ci ha messo il suo gusto e ha dato un suo tiro molto personale. Per quanto riguarda la scrittura dei testi, sono molto personali e ermetici, ma non vedo un limite in tutto questo, anzi, ho sempre apprezzato testi del genere che danno luogo a sorprendenti "epifanie". Mi capita spesso, mi vien da ascoltare qualcosa e in quel momento leggo il testo e improvvisamente è tutto chiaro. Sono esperienze personali che finiscono per essere condivise senza essere affatto uguali, è una cosa molto bella.
-A quanto pare nella vostra sperimentazione musicale entrano e interagiscono tra loro nuove sonorità vocali e strumentali. Siete alla ricerca di una musicalità o di un'immagine precisa? Voglio dire, c'è un intento di fondo nel vostro creare atmosfere e luoghi particolari (a me sembra di sì) e se sì quali?
Enrico: Spesso dà fastidio essere associati ad un luogo. Ed è in fondo comprensibile, per come a volte sembra che un gruppo faccia quello che fa solo per il luogo particolare dove si è ritrovato a vivere. Per quanto riguarda la nostra produzione è al contrario piacevole per noi parlare di Piancavallo, dove si trovava la nostra sala prove e dove è stato registrato gran parte del disco. Non è un luogo che ci siamo scelti, anzi, tre di noi abitano in città o ci abitavano, e non è facile aggiungere al fatto che frequentiamo università in quattro città diverse i tre quarti d'ora di strada in più da fare periodicamente per provare. Ma non possiamo negare che molte delle atmosfere che ci sono nel disco nascano da lì, da un posto che per noi rappresentava la fuga dalle nostre università, da tutto quello che ci succedeva, per trovarci a fare altro, o sintetizzare il resto, dove il più delle volte c'eravamo solo noi, le montagne e la neve. Come non posso negare l'influenza dell'anno che ho passato a Parigi, in negativo o in positivo, dove sono state composte alcune canzoni del disco, come Pond appunto. Non siamo alla ricerca di un'immagine o di un'atmosfera, quello che facciamo nasce da noi, da quello che viviamo e da come si mescola con i luoghi, le stagioni dove lo concretizziamo in qualcosa. Per questo disco almeno è stato così.
Fabrizio: Io credo che sia dovuto all'enormità di input a cui noi siamo sottoposti, in maniera pressoché autonoma perché solo una volta al mese e senza preavviso ci scambiamo le grandi scoperte. Questo porta a percorrere degli itinerari musicali differenti, basati sempre su un gusto comune che e' parecchio forte. Ultimamente io personalmente mi sto concentrando sull'importanza del silenzio e della voce in un pezzo, sullo svuotare la musica e sul non dover per forza suonare durante un concerto. Sembra una pippa mentale ma in realtà da un sacco di tempo utile per bere (scherzo).
-Cosa volete dirci della salute della musica oggi? Cosa vi va e cosa no?
Fabrizio: Per quanto mi riguarda io credo che globalmente la musica si mantenga sana, basata su i valori che da sempre la portano avanti come la voglia di esprimere qualcosa, l'estro e l'innovazione. Ciò che è cambiato e' che una volta (credo, non avendolo vissuta in prima persona) era presente una minore discrepanza tra mainstream commerciale e musica fatta per passione. La maggior parte di ciò che troviamo ora spinto per radio e televisione e' una paccottiglia preconfezionata, musicisti a stipendio fisso spinti al limite, duecento concerti all'anno e idolatria delle teen-ager alle stelle - basta non considerarli e il gioco e' fatto. Ciò che resta da fare e' affidarsi a siti come Pitchfork e ringraziare dell'esistenza di Youtube e Nodata.tv che ci danno il permesso, legale o illegale che esso sia, di ascoltare una mole devastante di musica, gigabyte su gigabyte al mese.
Tutto ciò "smaterializza" il CD come entità' a se stante e lo rende un mp3 nella massa, portandoti così di fronte a due scelte (parlo sempre per me): 1. fregartene ed ascoltare senza neppure il titolo della canzone, da vero figlio dell'mp3. 2.comprare supporti solidi dei preferiti, sia vinile o CD o pure l'mp3 originale da siti come Bandcamp o iTunes Store. -- personalmente sono molto uno e poco due, ma prometto di migliorare. Per esperienza personale trovo la strada della musica ingiusta, nel senso che nel Belpaese c'è sempre il cugino del cugino che suona nel locale più popolare, mentre un gruppo può fare tutti gli sforzi di questo mondo e le figate più grandi e rimanere sempre in sala prove perché manca un pubblico invogliato a scoprire da zero, invece che pagare 3€ per vedere suonare degli sconosciuti con quei 3€ mi bevo una birra piccola e vedo due tette al bar. Noi conoscenze non ne abbiamo nessuna, abbiamo ricevuto molti complimenti e questo mi fa pensare che magari qualcosa di buono lo abbiamo fatto pure noi.
..e ora iniziamo con la fase numero 2.
Enrico: mi avvalgo della facoltà di non rispondere
-Seguite uno o più modelli musicali? Vi piacerebbe essere un modello musicale? Vi piacciono le etichette tipo "indie" ecc.? Voi avete un cliché?
Enrico: è ovvio che quello che ascoltiamo ci influenzi parecchio, ma ascoltiamo cose talmente diverse e talmente tante, se mettiamo insieme noi Quattro, che non direi che ci siano dei modelli di riferimento precisi. Noi non abbiamo inventato niente, quindi non ci sembra di poter essere un "modello musicale". Le etichette tipo "indie", ecc. , se significano un modo genuino di rapportarsi a chi fa musica, certo che ci piacciono. Se significa al contrario essere settoriali e pararsi il culo anche no.
-Domandina gioco: scegliete un CD tra tutti che portereste con voi nel deserto e uno nello spazio (distinguo perchè è diverso lo stato d'animo credo)
Fabrizio: deserto porterei Alligator dei The National, spazio Tarot sport dei Fuck Buttons.
Enrico: non saprei, forse nel deserto The lemon of pink di The books, forse perché è accomodante e acquoso, o forse no? forse perchè posso tenerlo in loop per un mese intero. Nello spazio non so che stato d'animo potrei avere, ma neanche nel deserto in realtà, a me sembrano molto vicini in fondo quindi non saprei … diciamo Bromst di Dan Deacon nel caso stia finendo l'aria.
-Last but not least, cos'è la musica per voi? Ne avete bisogno fino a che punto?
Fabrizio: al punto da esserci trovati per tre anni a 1100 metri ogni venerdì, praticamente.
Enrico: a dire il vero me lo sto chiedendo spesso, in questi mesi in cui mi ritrovo ad avere il novanta percento del mio tempo occupato dall'università e da queste strane persone. Semplicemente ne ho bisogno in quanto del resto potrei fare a meno, e le volte che sto davvero malaccio sono quando mi rendo conto di non averle dedicato il tempo che meritava.
-A dicembre uscirà una compilation natalizia grazie alla collaborazione di diversi artisti indipendenti; raccontateci com'è nata l'idea di questa realizzazione e soprattutto qual'è lo spirito che la anima?
Enrico: l'idea nasce dal presupposto che se una persona o un gruppo che produce musica, oltre a fare promozione a se stesso, trovasse il modo di promuovere anche altri artisti valevoli, le cose arriverebbero ugualmente e ad un numero esponenzialmente maggiore di ascoltatori, e il tutto senza spendere un soldo. E l'anno scorso, con sette partecipanti quasi tutti della zona ha funzionato tantissimo. La compilation di natale di quest'anno include venti artisti da otto paesi diversi, non certo per dare meno valore a quello che viene prodotto in Italia da noi e dagli artisti che abbiamo invitato, ma anzi di porli in un ambito internazionale al di là delle scenette di quartiere che riempiono di soddisfazione tanto effimera quanto inutile. La compilation sarà scaricabile gratis a partire dal 23 dicembre al sito www.megaphone.it.


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