Con Sidney Lumet (1924-2011), morto a New York lo scorso 9 aprile, se ne va un grande maestro della macchina da presa, esemplare rappresentante della “New Hollywood” degli anni Settanta (periodo che coincise, non a caso, con i suoi maggiori successi), ma capace fino all’ultimo di girare film di livello straordinario: è il caso del suo ultimo lungometraggio, Onora il padre e la madre, magistrale thriller del 2007 in cui traspare in totale nitidezza il baratro di cinismo e avidità degli Stati Uniti del XXI secolo.
In esso, come in tutti i film di Lumet, straordinaria è la forza degli interpreti (Philip Seymour Hoffman, Ethan Hawke, Albert Finney). È questo forse il principale tratto distintivo dell’opera del regista americano: la forza interpretativa che sapeva trarre dagli attori con cui si trovava a lavorare, come ben si evince dal fatto che 17 degli interpreti dei suoi film furono candidati all’Oscar. E proprio da uno di essi, Al Pacino, viene forse la descrizione migliore del metodo di Lumet: nel libro-intervista Io, Al Pacino (Sperling & Kupfer editore), l’attore dice a un certo punto: «Sidney Lumet è un genio. Non ti dice una parola. Basta il modo in cui ti fa muovere per far vivere la scena. Mi indicava una direzione e diceva: vai qui, vai là. Straordinario».
Figlio di un attore di Broadway, Sidney Lumet fin da giovane iniziò a farsi le ossa nel mondo del teatro e della televisione, risultando un maestro dei generi per eccellenza della tv degli anni Cinquanta, ovvero i drammi e gli sceneggiati ripresi “dal vivo”. Ed è proprio da questo filone che viene la sua prima opera cinematografica: La parola ai giurati, del 1957, ancora oggi avvincente e attuale per il ritmo serrato, lo spirito democratico (anti-pena di morte) e le performance dei protagonisti (fra tutti, uno splendido Henry Fonda).Durante gli anni Sessanta Lumet dirige tutti i
grandi attori dell’epoca: Marlon Brando (assieme ad Anna Magnani in Pelle di serpente), Sean Connery, Rod Steiger, Katharine Hepburn. Ma il vero successo, e i film migliori, appartengono alla decade seguente, in cui Lumet si ritaglia di diritto un posto fra i grandi del cinema, assieme ad altri cineasti della sua generazione: Arthur Penn, John Frankenheimer, Sam Peckimpah, Robert Altman. Tra il 1972 e il 1976 il regista statunitense inanella un quartetto di film ancor oggi imprescindibili: Serpico, Quel pomeriggio di un giorno da cani, Assassinio sull’Orient Express, Quinto potere. Il tratto di fondo di tutte queste pellicole, che lanciarono definitivamente il loro autore, è come detto la forza straordinaria degli attori: si pensi alle fantastiche interpretazioni di Pacino nei primi due, o al cast all-star del terzo, dove ciascuno si esprime al meglio delle proprie possibilità (menzione speciale ad Albert Finney, la cui immedesimazione nel “buffo investigatore dalla testa a uovo” Hercule Poirot stupisce tuttora lo spettatore).
Tra esse, comunque, a mio giudizio, la più attuale e importante – quasi profetica, per certi aspetti – è senz’altro l’ultima, Quinto potere (Network, nel titolo originale), serrato apologo sul potere della televisione, degli anchor-man trascinatori di pubblico e gli interessi che attorno all’audience girano, descritti da un regista che ben conosceva i meccanismi televisivi. Un film che ci parla e ci colpisce ancora oggi.
Chiuso questo periodo d’oro, Lumet continuò comunque a produrre film di impatto notevole, come Il verdetto (1982) con un magistrale Paul Newman, Power, Un’estranea fra noi, fino a venire consacrato da un Oscar alla carriera nel 2005, risarcimento soltanto parziale rispetto a tutte le sue pellicole che l’avrebbero meritato e per le quali non lo vinse mai. Un dovuto omaggio, per tutti gli amanti del cinema, è la lettura del libro Fare un film (minimum fax), in cui Lumet descrive con uno stile piano e asciutto – lo stesso delle sue pellicole – tutti gli aspetti della realizzazione di un lungometraggio con una capacità divulgativa non banale, unita ad una buona dose di curiosità intellettuale, la stessa che ha dato forma ai film più riusciti di questo grande cineasta.
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