L’isola che non ti aspetti nel giorno che non ti aspetti. Sono le nove del mattino e Roseau si sveglia sotto un tiepido sole che si maschera tra nuvoloni grigi che circondano le montagne coperte di vegetazione tropicale. La capitale dello stato caraibico di Dominica non è tra le località turistiche più famose e non conferma gli stereotipi del nostro immaginario; qui il cliché dei cocktails in riva al mare e delle spiagge bianche o dorate innaffiate da rum non è confermato e la parte turistica dell’isola è troppo lontana. Il percorso che porta dal porto al centro abitato è una strada larga che corre dritta lungo la costa. Sulla sinistra le case, o meglio baracche ed alcuni capannoni interrotti da qualche deposito di merci oppure qualche distesa d’erba debitamente recintata, e sulla destra, lato mare si intende, un marciapiede che costeggia una spiaggia di sabbia nera con rifiuti qua e là. La strada mi avvicina lentamente al centro abitato composto nella maggior parte da baracche o case; la gente che incontro per strada è poca ma incrociando il loro sguardo contraccambiano con cenni di saluto e larghi sorrisi. Ai margini delle strade senza marciapiedi sostano numerose macchine che si mescolano alle insegne improvvisate e allo stesso tempo originali della città: tattoo studio, parrucchieri, negozi di vario genere e officine di meccanici si alternano tra le case coperte di vernice danneggiata, poster elettorali sbiaditi e immagini sacre. Dimenticavo un particolare importantissimo: è domenica mattina, quindi i negozi e gli esercizi vari sono ovviamente chiusi, la religione qui è una pratica fondamentale e nel giorno di riposo per eccellenza è veramente difficile trovare qualcuno pure per strada. Inoltre, le nuvole grigie si trasformano in un classico temporale estivo che mi obbliga a sostare tra le case, in attesa di una tregua per consentirmi di proseguire verso il cosiddetto centro della città e poter acquistare qualche piccola provvista o qualche ricordo. Ma, tra pioggia e la giornata in se, è quasi impossibile trovare qualcosa di aperto. Continuo il mio avanzare lungo la stessa via mentre nel frattempo la pioggia è terminata e arrivo a un distributore di benzina chiuso ma con un piccolo negozietto annesso aperto; me lo lascio alle spalle sperando di trovare qualcos’altro più avanti, supero in distributore, attraverso un ponte su un fiume dall’acqua torbida e proseguo. Qui almeno c’è più gente per la strada ma più avanzo verso il centro e più le chiusure domenicali confermano ciò che avevo visto per strada. Arrivo praticamente nel centro, vicino alla chiesa una signora mi avvicina chiedendomi se avessi bisogno di qualcosa, le spiego che cercavo qualsiasi luogo aperto dove poter al massimo prendere qualcosa da bere o da mangiare o almeno una scheda telefonica, ma non c’è niente da fare, la signora mi conferma che è tutto chiuso, sono tutti a pregare. A questo punto, i tempi stretti mi obbligano a ritornare sui miei passi, la sosta al negozietto accanto al benzinaio è necessaria, bibita e scheda telefonica e mi trovo in fila dietro una splendida bambina vestita con un completo rosa chiaro con i dettagli in fucsia e delle impeccabili treccine, la nonna le tiene la mano ma devono sbrigarsi perché sono già in ritardo.
Io ritorno lentamente verso la nave, ripercorrendo il rettilineo dell’andata senza la pioggia a darmi fastidio; passo accanto ad un garage improvvisato a luogo di culto; due file separate di sedie in plastica bianche, le porte socchiuse e tutti seduti all’interno, mi avvicino alla nave lungo il rettilineo ma questa volta passando accanto ad una grande chiesa color giallo e verde sbiadito; il parcheggio è pieno e dall’esterno si sente cantare suggestivamente. In una domenica anomala sono oramai arrivato al cancello che mi riporta a bordo ma prima di salire noto un gruppo di bambini che, sprizzanti di gioia, giocano sulla spiaggia poco curata che precede il porto sotto una scritta “keep the beach clean”. Una domenica di riposo anche per loro, ma anche per me.
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