
In controtendenza rispetto alle attitudini politiche dei cantautori suoi contemporanei, Cohen si concentra sull’individuo. L’uomo che presenta al mondo è un uomo insicuro, che cerca amore e comprensione pur essendo consapevole di non essere a sua volta capace di darne. In questo senso è emblematica Suzanne, la donna mezza pazza che vive in riva al fiume:
And just when you mean to tell her
that you have no love to give her
then she gets you on her wavelength
and she lets the river answer
that you've always been her lover
Suzanne assume tratti magici, quasi religiosi, tanto che l’uomo vorrebbe seguirla “ciecamente”. Un simile conforto (con un simile, seppure ironico, parallelismo religioso) lo può trovare nelle Sisters of Mercy, ovvero le prostitute, la cui “misericordia” non richiede impegno, stabilità, fedeltà. Da queste persone ai margini, l’uomo di Cohen intuisce, o spera, di poter imparare qualcosa:
And she tells you where to look
among the garbage and the flowers
(Suzanne)
And they brought me their comfort
and later they brought me this song
(Sisters of Mercy)
Già, imparare. Cercare una comprensione più profonda. Anni dopo Cohen passerà un lungo periodo in un monastero buddista in America, alla ricerca di una nuova coscienza delle cose. Ma verso la fine degli anni sessanta, in quel periodo di grandi cambiamenti sociali e culturali, mettere in discussione i valori – morali, politici, religiosi – comporta la perdita di “maestri”, e la conseguente ricerca di nuove guide, di nuovi punti di riferimento. La parabola di Teachers ben rappresenta lo spaesamento di un uomo che cerca invano i “teachers of my heart”. La canzone è una sorta di nenia, a cui il rapido arpeggio alla chitarra aggiunge una sensazione di ansia; come un grido disperato ma subito represso quando a ogni domanda l’uomo si sente rispondere “no”:
Several girls embraced me, then
I was embraced by men,
is my passion perfect?
No, do it once again.
I was handsome I was strong,
I knew the words of every song.
Did my singing please you?
No, the words you sang were wrong.
Così pure il rapporto uomo-donna diventa tragicamente problematico. L’amore va e viene come il mare nella tenera Hey, That’s No Way to Say Goodbye; ma se può diventare qualcosa di simile alle catene, qualcosa che non si può slegare, è meglio lasciar perdere (“let’s not talk of love or chains or things we can’t untie”). Anche per via di una innata incapacità di comunicare che affligge ogni relazione:
I believe that you heard your master sing
when I was sick in bed.
I suppose that he told you everything
that I keep locked away in my head
(The Master Song)
Your letters they all say that you're beside me now.
Then why do I feel alone?
(So long, Marianne)
Senza urla laceranti o momenti epici, l’uomo di Cohen si trascina nella vita con un parlare sommesso, guardando e studiando l’uomo e il mondo con una lucidità che lo rende per certi versi vicino al Bernardo Soares di Pessoa. Infatti, se Bernardo Soares viene definito da Tabucchi come “l’uomo alla finestra”, Cohen si autodefinirà, in una canzone del 1969, “a bird on a wire”, un uccello sul filo; rivendicando non tanto una distanza dalla vita, ma piuttosto la libertà di vederla e interpretarla. Non senza un’amara ironia, che ritorna spesso nelle canzoni e di cui è uno splendido esempio il surreale racconto di One of Us Cannot Be Wrong che chiude l’album:
I showed my heart to a doctor
he said I’d just have to quit
then he wrote himself a prescription
and your name was mentioned in it
then he locked himself in a library shelf
with the details of our honeymoon
and I hear from the nurse that he’s gotten much worse
and his practice is all in a ruin.
Oggi Leonard Cohen è un vecchietto che, a dispetto dei suoi quasi ottant’anni, gira il mondo per fare concerti. Ha proseguito la carriera musicale senza perdere lo sguardo disincantato e profondo che lo caratterizza. Ma per l’insieme sorprendente di canzoni drammatiche ed emozionali, capaci di scandagliare gli angoli bui della coscienza, questo suo esordio rimane inarrivabile. Utilizzando poco altro oltre alla chitarra e alla propria voce, disegna un desolato paesaggio umano che trascende il suo tempo e tende all’universale, senza arroganze o eccessi profetici, ma con la dimessa eppure sentita partecipazione di un uomo che vive sulla sua pelle quello stesso mondo.
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