L'OCCHIELLO DELLA "B", LA STANGHETTA DELLA "T"



Una volta Marcel Proust scrisse una lettera lunga la bellezza di dieci cartoline. Perché lo fece? Non lo so. Kafka, invece, si divertiva a fare disegni e schizzi anche sul lato della cartolina dove c'era l'immagine. La trovo una cosa bellissima. A tutti è capitato almeno una volta di spedire una cartolina, fosse del luogo di villeggiatura, del paese in visita o delle vacanze natalizie. Portava un'immagine che avevamo scelto con cura, quella che potesse meglio esprimere il posto o il sentimento che avevamo dell'istante, che meglio avrebbe sopperito al piccolo mutismo che ci imponeva lo stretto spazio bianco alle sue spalle; e avrebbe dovuto suggerire: “Eccomi, è qui che mi trovo ed è ciò di cui ti vorrei raccontare: ti indico a dito, battendo sul cartoncino, al fine di condividerlo con te”. Perché la cartolina è innanzitutto comunione. In uno spazio ridotto si ritrovano vicini i nomi dell'autore, che vergando di propria mano imprime la sua identità unica e distende il tempo sul piccolo cartoncino, e quello del destinatario che non leggerà solo il nome del mittente, ma ne seguirà la grafia, le curvature delle lettere - l'occhiello della “b”, la stanghetta della “t” -, cosicché nell'andatura dei piccoli segni neri potrà interpretare molto più di quello che c'è scritto, e non sarà solo la firma a fargli riconoscere il mandatario, ma sarà l'insieme del movimento ritmato a fargliene scandire la presenza; e inoltre, affianco a essa, ritroverà tratteggiata la sua stessa identità: battesimo e cognome, indirizzo e città. Non ci si potrà sbagliare sul fine: l'immagine e le parole erano dirette proprio a colui che con tanta precisione è stato delineato dalle coordinate postali, in un riconoscimento che suggerisca la considerazione dell'individuo nello spazio, raccontando inoltre di una familiarità conosciuta delle distanze. Come “l'ombrello incontra la macchina da cucire”, i due soggetti si ritrovano nello stesso angolo di carta.
Una rapida “leccata” a un francobollo dai contorni dentellati con piccoli numerini sopra impressi, dove la luce si rifletterà cangiante sulla filigrana, sarà stato l'ultimo gesto prima di infilare di soppiatto il cartoncino nella buca rossa delle lettere. Ritraendo la mano sentiremo la porticina di latta sbattere e penseremo alle parole lasciate senza sapere quante mani attraverseranno; un messaggio privato che diventerà forte della sua fruizione disinteressata di quanti potranno vederlo, e più gente lo leggerà, più questo si farà carico di tutte le prospettive, voci, considerazioni e realizzazioni capitategli nel lungo viaggio.
Finché, quando in seguito il cartoncino arriverà (se arriverà, perché il dubbio resta sempre: vi è mai capitato d'aver spedito una cartolina e che questa, dopo un lungo silenzio protrattosi per giorni e mesi, non sia mai giunta a destinazione? E in seguito a ciò, avete mai fantasticato sul percorso che quel piccolo cartoncino rettangolare debba aver fatto prima di cadere nell'oblio, trattenendo in sé un fascino particolare per il senso di incompleto e di non detto?) tra le mani del destinatario, questo se lo rigirerà, indeciso a quale faccia dar prima credito. Ne sentirà la consistenza con i polpastrelli, ne leggerà il contenuto con cautela, osserverà l'immagine con accuratezza e infine volgerà un'ultima occhiata al francobollo marchiato, prova tangibile dell'avvenuto incontro cui il pignolo postino si sarà fatto credito di istituzionalizzare, e gli apparirà riflessa nell'iride la persona cara immersa nel territorio descritto dalla fotografia.

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