
"Talvolta un’ora, e tu esisti; il resto è ciò che accade. Talvolta i due mondi s’innalzano in un solo sogno". (G. Benn, Cervelli, Adelphi, Milano 1986).
Cervelli non ha una trama nel senso stretto del termine. Quello che lega i cinque racconti contenuti nell'opera è la presenza del protagonista ed il modo in cui si muove tra la realtà. Rӧnne, il protagonista, sarebbe facile associarlo quale alter ego di Benn: entrambi medici, entrambi a contatto quotidiano con la morte senza averne la capacità fisica di concepirla. Al di fuori di essa, i valori di una borghesia sana, dei legami che appaiono contro natura, fini di gesti incomprensibili che avevano lacerato l'esistenza. Che fosse la realtà quella? Inizia così un viaggio tra paesaggi desolati e strade piene di persone dove nulla sembrerà far riferimento a delle coordinate che siano misurabili, finché anche l'Io si scioglie in un'illusione. Come sopravvivere? Che sia necessaria una doppia vita? E se il dottor Benn mantenesse i contatti con le cose del mondo, indossando un cappotto e stringendo mani con educazione mentre Rӧnne, annichilito dalla tragedia, si curasse della schizoidità di fondo della sostanza umana? Si apre lo iato tra l'uomo razionale e la natura: ed è la coscienza di quella scienza perfetta a portare al dolore. Platone versus Nietzsche? Forse. Detta adenti stretti, sarebbe più facile accompagnarsi ai bravi signori che al circolo ufficiali buttano giù un bicchierino con una battuta, misurarsi in una norma per stringere un accordo con ciò che stava ad un passo, senza l'ambizione di conoscere. Un'abitudine, non molto. Una narrazione continua che potesse tenere assieme i pezzi. Ma non era possibile per semplici motivi costituzionali. Leggi interne che dettavano la rottura, tenendo aperta la ferita. Fugace, decomposto e frantumato, Rӧnne si scioglie nei pensieri per poi ricrearsi in una continua e faticosa evoluzione. Il mestiere di un artigiano della cera che lavora nella bocca di un vulcano.

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