PINK MOON

Sono disteso sulla spiaggia, qualche asciugamano e una chitarra, e tanta birra ormai calda. A premere il petto una tristezza lieve e inconsolabile. È notte. Una notte stellata, una notte che è nostra. È la notte allora che mi prende gli occhi all'amo e me li appende a qualche stella. Nell'agonia di un'alba che non vuole arrivare, nel silenzio che vive tra cielo e mare, una musica si muove nella mia mente come placida risacca. Ma eccola lì, la luna. Una luna rosa galleggia nel cielo. Il suo alone sinistro emana presagi di sventura. Gli stessi presagi che forse aleggiavano nell'aria di una qualche notte dell'estate del '71, in qualche spiaggia di Algeciras, nel sud della Spagna. E forse Nick Drake quella notte era appeso, solo e pensieroso, alla stessa stella.
Nick aveva 23 anni, due album alle spalle, due occhi neri come quelli di un cane e una solitudine, un male che tentava di curare con la sua chitarra.
Fu in quell'estate del '71, quando la depressione cominciava a divorarlo, che Nick cominciò a elaborare le idee per le undici canzoni che sarebbero uscite, nel febbraio del '72, sull'album PINK MOON.
Il ragazzo si portava ancora dietro i segni di un'adolescenza fatta di inquietudini e di paure, popolata di solitudini, di pomeriggi interi passati sulle corde di una chitarra che, come binari di un treno a lunga percorrenza, lo portavano lontano, verso i luoghi eterei della Musica.
Ma in quei luoghi affollati da sciamani ed istrioni, egli sceglieva l'angolo appartato della propria intima creatività, lontano dagli eccessi della rockstar, dal palcoscenico esibizionista, dalla folla acclamante. Il suo animo era troppo gentile e delicato, il suo carattere troppo schivo ed introverso.
Una sera d'ottobre entrò in sala d'incisione, abbracciò la sua chitarra e cominciò la propria cura. Due ore, per poi sparire di nuovo a cullare il proprio oblio. E quando si ascolta la mezz'ora che resta di quella sessione di registrazione sembra quasi di avercelo di fronte, con gli occhi bassi a guardare le proprie scarpe tirate a lucido, dimesso eppure carismatico.
E lui, incurante di te che te ne stai lì come rapito, attacca.
Pink Moon apre l'album con i toni funerei di una profezia. La splendida Place To Be è invece una nostalgia fredda, che si scontra con il dovere quotidiano di affrontare la verità a viso aperto, e con la consapevolezza della propria debolezza. Road è la ricerca di una strada che ci porti a noi stessi: una strada di campagna, umida e fumosa, avvolta dalle fitte nebbie delle nostre paure, delle nostre insicurezze. Which Will è invece un urlo represso, una malinconica accettazione: chi ti piacerà / chi amerai / chi sceglierai / tra le stelle lassù / a chi risponderai / chi chiamerai / chi prenderai / come il tuo solo / e unico / dimmelo ora / chi amerai di più. / Per chi danzi / chi ti fa splendere / chi sceglierai / se non sceglierai me.
La voce di Nick, così pallida e delicata, incanta. E' una foglia d'autunno che cade lieve e ti si posa nell'anima. Un'unica foglia, secca ed increspata dal dolore, che cadendo fa vibrare tutta la terra.
E incantano anche le sue dita: Horn è un piccolo gioiello strumentale dagli intagli appena abbozzati, il rintocco e l'eco malinconica di una caduta.
Dopo quest'attimo di sospensione, di riflessione, Nick si mette davanti allo specchio e comincia a parlare a sé stesso. La stupenda
Things behind the sun è la confessione di tutto il suo pessimismo verso la società, verso l'altro. Costruisce un distacco radicale tra sé stesso e il mondo esterno, capisce di essere solo. Capisce che siamo tutti soli e, in un modo o nell'altro, dobbiamo sfangarla da soli, con le nostre sole forze, perchè nessuno può farlo per noi. Eppure nella composizione di Drake non c'è quasi mai l'eco del pessimismo delle sue parole. La musica è il contraltare, è la redenzione. La parola è pensiero, riflessione, angoscia. La musica è istinto vitale.
La successiva Know sviscera un blues ripetitivo e ipnotico sul quale si inseriscono i mugolii di Drake.


In Parasite, dipinge affreschi di desolazione urbana: una città nebbiosa in novembre, una pioggia accanita e sottile, il dolore e l'orrore della propria piccolezza, della propria mediocrità.
Passata la simpatica Free Ride, la meraviglia è destinata a concludersi, ma con l'anelito della speranza. L'ambiguità delle parole porta a chiedersi se quella di Drake sia ancora una speranza terrena od ormai soltanto ultramondana, una serenità celestiale, legata alla fine della sofferenza.
C'è ancora il fantasma della disfatta in Harvest Breed, mentre a chiudere l'album è la splendida From the morning. Si rimane letteralmente ammaliati dalla dolcezza che Drake riesce a trasmettere, dall'innocenza che traspare cristallina, nonostante il travaglio di un dolore rimasto per lui insormontato. From the morning ha i toni dell'inno religioso:
A day once dawned, and it was beautiful           
A day once dawned from the ground            
Then the night she fell            
And the air was beautiful            
The night she fell all around             
[...]             
And now we rise            
And we are everywhere            
And now we rise from the ground            
And see she flies            
And she is everywhere            
See she flies all around 

E' un gospel laico accompagnato, nello stile inconfondibile dell'arpeggio di Drake, da un incedere sereno e sognante, quasi da country-blues del Delta.
Era l'ultimo solco. Nick si alza dallo sgabello lì di fronte a te e, senza dire niente, se ne va. Morirà due anni dopo aver inciso quest'album, mentre nel suo grammofono girava un disco di Bach.
Noi invece, noi siamo sempre qui, distesi sulla spiaggia, qualche asciugamano e una chitarra, e tanta meno birra. La luna rosa è in cammino / e nessuno di voi potrà mai stare così in alto / la luna rosa vi prenderà tutti.
Nick Drake è con noi, anche questa notte, come ogni notte che sorge una luna rosa. La sua voce di sabbia si leva da terra e ci carezza la pelle, in un gelido abbraccio.

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