UNO, NESSUNO, CENTOMILA PESSOA

Mi sono moltiplicato per sentire, per sentirmi, ho dovuto sentire tutto, sono straripato, non ho fatto altro che traboccarmi e in ogni angolo della mia anima c’è un altare a un Dio differente”

Il titolo emblematico vuole sottolineare la poliedricità del grande poeta portoghese Fernando Pessoa, che in vita ha collaborato con numerose riviste nazionali , ha partecipato ai grandi movimenti di avanguardia inaugurandone egli stesso uno, con la famosa poesia Chuva Oblíqua, chiamato Intersezionismo, ha scritto poesie, articoli e aforismi. In vita però pubblica solo un libro, Mensagem, mentre il resto della sua creazione artistica dovrà attendere gli studiosi, che investigando hanno scoperto che dietro a quest’uomo si nascondeva un “baule di gente”[1].
Pessoa, eccentrico uomo dalla vita solitaria, racchiudeva infatti nella sua preziosa intimità, un mondo inaccessibile agli occhi degli altri, che lo vedevano spesso al caffè “a Brasileira”, a Lisbona, consumando una quantità malefica di tabacco e alcool. Chissà come doveva apparire agli occhi estranei; personalmente lo immagino come un uomo distinto, schivo e singolare. Conduce la sua vita lavorando come impiegato presso un’agenzia import-export, con il ruolo di traduttore grazie alla sua conoscenza approfondita dell’inglese. Avanza così, un’esistenza personale pressoché anonima, che si scontra invece con la fiorente vita artistica e letteraria che Pessoa ed i suoi eteronimi andavano creando.
Dico “andavano creando” perché Pessoa non era solo una persona bensì “centomila”: Pessoa infatti non è solo Fernando Pessoa, ma è anche Alvaro de Campos, Ricardo Reis e Alberto Caeiro. Mi spiego meglio: in una lettera[2] indirizzata al suo amico Casais Monteiro datata il 13 gennaio 1935, Pessoa narra di come e quando nasce il suo impulso ad inventarsi altri “io”:

Fin da bambino ho avuto la tendenza a creare intorno a me un mondo fittizio, a circondarmi di amici e conoscenti che non erano mai esistiti. (…) Fin da quando mi conosco come colui che definisco “io”, mi ricordo di avere disegnato mentalmente, nell’aspetto, movimenti, carattere e storia, varie figure irreali che erano per me tanto visibili e mie come le cose di ciò che chiamiamo, magari abusivamente, la vita reale. (…)”

Ed è proprio questa spinta innata a concepire figure irreali, che conduce Pessoa il giorno 8 Marzo 1914, alla creazione estetica dei suoi eteronimi, ovvero di personalità poetiche complete e complesse, identità inventate che divengono autentiche attraverso la loro personale attività artistica diversa da quella dell’autore. Gli eteronimi sono diversi dagli pseudonimi in quanto coesistono con l’autore e ne formano una sorta di estensione del carattere; sono personaggi completamente differenti che vivono di vita propria scrivendo spesso con uno stile dissimile da quello dell’ortonimo.

“Un giorno mi venne in mente di fare uno scherzo a Sá-Carneiro: di inventare un poeta bucolico, abbastanza sofisticato, e di presentarglielo, non mi ricordo più in quale modo, come se fosse reale. Passai qualche giorno a elaborare il poeta ma non ne venne niente. Alla fine, in un giorno in cui avevo desistito – era l’8 marzo 1914 – mi avvicinai a un alto comò e, preso un foglio di carta, cominciai a scrivere, in piedi, come scrivo ogni volta che posso. E scrissi trenta e passa poesie, di seguito, in una specie di estasi di cui non riuscirei a definire la natura. Fu il giorno trionfale della mia vita, e non potrò più averne un altro simile.”

E fu così che Pessoa esteriorizzò artisticamente nel poema O guardador de Rebanhos, il suo primo eteronimo considerato anche il suo maestro, Alvaro de Campos. In un’altra lettera, l’autore “battezza” le sue tre anime principali, definendo i particolari, intellettuali ed estetici:

Come scrivo col nome dei tre? … Caeiro per pura e insperata ispirazione, senza sapere né prevedere che mi metterò a scrivere. Ricardo Reis, dopo una astratta deliberazione, che subito si concretizza in un’ode. Campos, quando sento un improvviso impulso a scrivere, anche se non so che cosa.

Sono quindi dei personaggi fortemente delineati e caratterizzati, a ognuno dei quali Pessoa attribuisce una faccia, una scheda anagrafica, un lavoro, un segno zodiacale: Ricardo Reis è un po’ più basso di lui ed è un medico espatriato in Brasile a causa delle sue idee monarchiche, Alvaro de Campos è un ingegnere, il poeta della modernità portoghese, Alberto Caeiro è il maestro di tutti, un poeta bucolico che spiega con la sua poesia la ricerca dell’essenzialità …
Ma chi sono veramente questi alter ego? Da cosa nasce questo bisogno di duplicarsi, quadruplicarsi, fino a inventare frammenti di sé che coesistono in una vita parallela? Nel caso di Pessoa, quando si parla di eteronimi ci si riferisce ad una parte della personalità, quei segmenti di sé non espressi, e in Pessoa erano presenti tante voci distinte ( addirittura si è arrivati a calcolare 80/90 eteronimi!) che hanno trovato la loro espressione nella vita artistica e poetica dell’autore.
Non siamo quindi tanto lontani dalla teoria di Pirandello secondo la quale ognuno di noi è in realtà Uno Nessuno e Centomila; la necessità e la scoperta moderna di non possedere una realtà oggettiva, il bisogno innato di esprimere questa scomposizione e di non potersi limitare ad una forma, che con il tempo muore e non lascia spazio alle altre possibilità. Come poter essere solo una persona tutta la vita, condurre il solito lavoro, essere coerenti con una sola idea; la modernità ha portato con sé anche certi quesiti che prima non esistevano. Le mille e sempre più differenti possibilità, la velocità delle trasformazioni, le scoperte psicologiche, hanno condizionato l’uomo del Novecento che ha iniziato a scavare dentro di sé, nel più profondo lato oscuro, nei desideri repressi o come lo definirebbe Freud, nel suo inconscio. Nasce così il bisogno, la necessità per certi artisti di esteriorizzare questo io frammentato cercando di far vivere anche le altre parti di sé represse, ma desiderose di esprimersi. Ecco che trovo simile la reazione del personaggio pirandelliano, Vitangelo Moscarda nel romanzo Uno nessuno Centomila, che rifiuta la sua integrità di “uno”, alla creazione estetica degli eteronimi di Pessoa: in entrambi gli autori c’è il desiderio di andare oltre e non fermarsi ad un io convenzionale, a quell’identità che ci è stata data con il nome di battesimo e che ci resterà, incollata per tutta la vita come a simboleggiare la prigione di una forma immutabile in contrasto alla vita, che è un divenire perenne.
C’è il bisogno artistico e letterario di dimostrare che dentro di noi avvengono dei cambiamenti e che sempre ci rinnoviamo in nuove prospettive, in nuovi desideri, in altre “persone” che hanno bisogno di trovare la loro espressione. È una ricerca della verità interiore, è un invito ad interrogarsi quotidianamente, ad ascoltare quelle voci che spesso ignoriamo. Credo che ognuno di noi abbia, perlomeno, un paio di eteronimi, anche se non hanno un nome né una identità precisa; l’indole umana è poliedrica e ha bisogno di esprimersi. È la società che ci impone di essere Uno … oppure Nessuno. A noi la scelta.

1 Tabucchi Antonio, Un baule pieno di gente, Feltrinelli, 1990.

2 Lettera a Adolfo Casais Monteiro sulla genesi degli eteronimi.


Francesca Coltraro

1 commento:

Dhnjsh ha detto...

Articolo molto interessante che fa riflettere. Personalmente non avevo mai sentito parlare di Pessoa e devo dire.... molto attuale in questa post-modernità che, da una parte ci obbliga a essere più di Uno e dell' altra, la Soggettività sta portando a ricerche interiori che conducono l' uomo disorientato a chiedersi "Chi sono?". Già, chi Siamo? di sicuro non Uno.. almeno io non mi sento "una".. Le circostanze della vita: il lavoro, lo studio, le passioni e i sentimenti ci portano a scendere a compromessi con la vita che non ci fanno essere "sempre-noi". I cambiamenti fanno parte di quella realtà che dobbiamo imparare ad accettare se non vogliamo diventare schiavi e di noi stessi e di ciò e chi ci circonda....
Bel lavoro Franci!!
Dhnjsh