L'ULTIMO DISCO DEI TRABANT

Se i Trabant sono musica da cocktail, inacidiscono lo spritz. Occhio, dandy, i Trabant hanno solo l'apparenza innocua. Il gruppo triestino ti stordisce con la forte componente elettronica e con ritornelli ballabili, e ti fa credere di ascoltare “pezzi leggeri”, per poi affondare un limone marcio nel tuo bicchiere di glitter. Nulla in loro è superficiale: vasta ricerca musicale, sperimentazioni, testi disillusi nei confronti di una società piatta e straniante. Giulia Cattaneo ne è la tastierista dal loro stato embrionale, quando si chiamavano Faraway Babylon, facevano cover di Bob Marley e non tutti erano maggiorenni. Poi nel 2002 hanno assunto il nome di una macchina tedesca anni '50 e la forma musicale si è via via definita, anche se il gruppo ha sempre “lavorato in modo eclettico”, come dice Giulia: “ognuno di noi ascolta cose completamente diverse, quindi porta influenze eterogenee ai pezzi”. Tutti però hanno “un disco ballereccio nel cuore”, e si sente: ci si diverte e ci si muove, ascoltandoli. Grazie a queste caratteristiche riescono nel loro intento ad avere un target variegato: “la nostra musica si rivolge un po' a tutti: d'altronde non ha senso se non la condividi, non è musica da ascoltare in camera da soli”. Adesso i Trabant sono il gruppo di punta dell'etichetta R!SVP, hanno tre dischi alle spalle, nel 2007 hanno vinto l'Italia Wave e il 26 marzo hanno pubblicato l'ultimo disco, Trabant. I componenti del gruppo sono la già citata “Joujou” alle tastiere, Giacomo Coslovich “Jack” alla batteria, il cantante Giovanni de Flego “IlMarcello” alla chitarra e Michele Zazzara “Chuketti” al basso. Li hanno paragonati a moltissimi gruppi e hanno cercato di inquadrarli in diversi generi musicali, ma non amano molto essere classificati. Giulia Cattaneo, dal canto suo, nella loro musica sente: "elektro, minimal, i Chromeo, Marvin Gaye, Curtius Mayfield, il prog italiano anni '70, e ultimamente sound black e soul legati alla Motown, ma ognuno ci può sentire cose diverse. I critici spesso ci paragonano a musica che non ascoltiamo".
Durante il tour, il gruppo passava ogni weekend in auto per raggiungere i posti più disparati, e ne ha approfittato per ascoltare ore ed ore di buona musica e intavolare discussioni a proposito: da quegli spunti sono partite molte idee per le musiche. “A volte i brani nascono da un riff che uno dei componenti porta, poi ognuno ci aggiunge il suo contributo, finché non si sviluppa il suono finale; comunque il grosso viene fatto con l'improvvisazione ed il lavoro d'insieme”. I testi invece li scrive IlMarcello, “ma poi ce li sottopone”, sorride la tastierista. La scelta dell'inglese deriva dal fatto che tutti abbiano influenze musicali al di fuori dell'Italia, e che “effettivamente funziona, ed è facile farlo funzionare. Comunque sappiamo tutti bene questa lingua, quindi il senso dei testi non viene trascurato”. Secondo Giulia i brani sono importanti anche politicamente, però il cantante si irrita a sentir accostare musica e politica. Non si direbbe affatto, ascoltando i testi di Trabant.
Un chiacchiericcio, la musica inizia a sfrigolare e una voce latina ci incita al ballo. Giochi di parole accompagnano il ritornello orecchiabile. Poi il ritmo si concita, si sente un cowbell, il sintetizzatore si scatena, come la voce “da megafono” e i cori. Però già il singolo Ah Oh Aficionados, il cui ritornello viene ripetuto di continuo, come un mantra, suggerisce una denuncia sociale: cosa facciamo ogni giorno, sui social network, se non collezionare “aficionados” a cui non importa assolutamente di noi? Il tutto prosegue con un finto inno alla generazione festaiola con “uaua” finale, dopodiché la musica si rende più molle, più pop. E di colpo l'aggressione di Hostile Commando DIY, con i suoi cambi di tempo e di stile, quasi una colonna sonora di un film d'azione con pausa latineggiante. Poi la voce si alza di tono, tornano le atmosfere rock e sembra che tutto il gruppo stia cantando. Il tema sociale continua in Mademoiselle PMD, dove i problemi con la ragazza non sono dovuti a stress, ma ad un “errore di programmazione”, e in Less is less, in cui il “normale” è altro rispetto al personaggio: servono delle “maschere di normalità”, perché essere se stessi non è mai abbastanza, e il qualunquismo prende il posto della felicità. In diverse canzoni vengono usati numeri e sigle per definire rapporti sociali, stati d'animo e persone, segno di una realtà spezzata, alterata, schiava di un tempo computato: “puoi rimanere un numero oppure essere la numero 1”, “la relazione non supererà il weekend”. Verso la fine del cd il cantare diventa indolente, la musica sempre più morbida, il gruppo scende in strada, la voce è amelodica, mentre in Sarah Diane, nel luogo di luci dove non sogniamo altro che un “magic spell” che ci porti fuori dalla realtà, persino la disperazione diventa “hot”: sembra un viaggio in America con voci di sirene ad accompagnarci all'andata e al ritorno. Poi un lavorato silenzio, finché Scorpio vs. Gemini non cerca le corde dello stomaco, scaldandolo con voce morfeica e sussurrando l'ultima ironia.
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