LA CASA DI RAMALLAH


Al crepuscolo della sera movemmo il passo verso il Teatro Rossetti; oramai s’era agli ultimi spettacoli del bel baraccone, e sul cartellone stava scritto: La casa di Ramallah – di Antonio Tarantino, con la regia di Antonio Calenda, e con Giorgio Albertazzi. Certo i nomi trismegisti facevano un gran effetto. Tarantino è sicuramente uno dei migliori drammaturghi contemporanei sulla scena europea. Molto conosciuto in Francia, in Italia ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti nell’esibizione di suoi testi impegnati. Degli altri due nomi - Calenda e Albertazzi - ci risulta difficile riportarne i fasti nelle poche righe che ci restano. Basti questa frase: sono la nostra più prossima storia teatrale. Non ci restò che raggiungere il palchetto triestino con passo solenne. Nella pièce - scritta nel 2004 - La casa di Ramallah siamo testimoni di un viaggio allucinante dove una coppia di genitori anziani accompagna la figlia pronta a immolarsi per la causa dell’Organizzazione che lotta per il popolo palestinese. Il dramma si spiega quasi interamente all’interno di un treno fracassato dove incombe la presenza invisibile e minacciosa della Mossad (il servizio segreto dello stato di Israele) e dello Shin Bet (un altro servizio di sicurezza israeliano), pronti a perquisire le persone in maniera molto approfondita, senza fare sconti a nessuno.
Tra monologhi interiori e flussi di pensieri, sulla vettura si rincorrono i ricordi del padre legati a una quotidianità fatta di armi e povertà; le memorie della madre che trova serenità nel rievocare il faticoso lavoro nella Piana di Thamma, quando sotto un sole cocente raccoglieva pomodori per pochi soldi col marito; e i ricordi della figlia, la quale racconta con un linguaggio violento e crudo della sua squallida infanzia senza sogni, vittima dei dettami dell’Organizzazione. L’onirico viaggio attraversa una terra palestinese che non esiste, e i tre personaggi nominano città e stazioni che prendono vita solamente nelle loro menti, così come la tanto sognata e desiderata casa sul mare a Ramallah – ma purtroppo resterà solamente una visione irrealizzabile, perché a Ramallah il mare non c’è. Padre e madre, in una grottesca comicità, aiutano la ragazza nella preparazione dell’atto estremo: vestita di bianco, la giovane scende dal treno, supera un check-point, ed è pronta a eseguire la sua missione in un finale straziante che ha lasciato gli spettatori senza parole.
 Nel testo di Tarantino non c’è una presa di posizione per l’una o l’altra fazione. Quello che l’autore vuole portare alla luce è il senso di assurdità e di crudeltà del conflitto tra israeliani e palestinesi, il quale viene vissuto come un’ovvietà quotidiana. E così, in tutto il dramma, la strapotenza della storia pervade il privato in una continua persecuzione fisica e morale che fa perdere il senso dell’esistenza al singolo individuo.
Per concludere, in questa produzione del Teatro Stabile Friuli Venezia Giulia non ci sentiamo di fare preferenza alcuna giacché furono tutti portatori di genio e intensità: Giorgi Albertazzi nel ruolo del Padre, Marina Confalone in quello della Madre, Deniz Ozdogan nella parte della giovane ragazza. Cala la tela.

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