VIRGINIANA MILLER – IL PRIMO LUNEDÌ DEL MONDO

“Suona la radio e mi sveglia la bella canzone / cerco qualcosa da fare se doveva piovere e invece c’è il sole / comincia così oggi è il primo lunedì del mondo / e ho chiuso la porta alle spalle e ora scendo giù”: se il loro album precedente, Fuochi fatui d’artificio, si chiudeva con la canzone Insonnia, oggi i Virginiana Miller si risvegliano pronti a un nuovo inizio, nel Primo lunedì del mondo.
Questo quinto album del gruppo livornese suona meno cupo e più ottimista – senza però perdere quei tratti di amara ironia che da sempre lo caratterizzano. Anche se è inevitabile l’accostamento con i più famosi Baustelle (di cui sono amici da tempi non sospetti), i Virginiana conservano un’identità forte e una costanza ammirevole nel proseguire un percorso autonomo e indipendente dalle logiche di mercato, che prosegue ormai da vent’anni. Il loro raffinato pop rock ha smussato le spigolosità dei lavori precedenti, concentrandosi su notevoli arrangiamenti di archi e fiati, e allo stesso tempo mantenendo un certo gusto per gli intrecci chitarristici e le ritmiche sghembe a sostegno del cantato di Simone Lenzi, dimesso ma espressivo come pochi.
Meno cupo e più ottimista, si diceva, e anche più intimista: come ha dichiarato Lenzi in alcune interviste, l’album è frutto, tra le altre cose, di una depressione, di una crisi che ha coinvolto anche il fare musica in quanto parte della propria vita. In questo senso è significativa la canzone La carezza del papa, dove il clarinetto basso (ndr) sorregge il mesto confronto tra un genitore e un figlio: “ora cerco una scusa non ho avuto i coglioni / non ho avuto né figli né gloria o potere soltanto canzoni / che non canta nessuno che non cambiano niente / che non legano il sangue”. Questa disincantata confessione si trasforma poi nella denuncia di un’educazione troppo fredda, prendendo in prestito la famosa frase di Giovanni XXIII: “tornando a casa stasera troverete i bambini / dategli quella carezza del papa / ma anche un calcio nel culo va bene / anche quello ogni tanto fa bene / come segno di amore sicuro / di contatto e calore animale senza tante parole”.
Già, le parole. Un concetto che ricorre più volte nelle canzoni: c’è urgenza di “parole nuove” con cui dire le cose, per parlare non solo di Storia ma anche di storia, di vita quotidiana, di relazioni. Per parlare, ad esempio, del bisogno di essere a tutti i costi considerati, sintomatico di un disagio molto moderno: è il caso di L’angelo necessario (che compare nella colonna sonora dell’ultimo film di Paolo Virzì, loro concittadino), quella persona a cui non importa il male che subisce, perché è l’unico modo che ha di avere un rapporto, di essere calcolata (“puoi farmi piangere tanto dimentico”). È anche il caso di L’inferno sono gli altri, titolo che cita Sartre per parlare dei social network: “e ognuno è nel suo spazio ognuno ha qualcosa da dire / che un po’ ti sto a sentire”, e ancora “hai 2500 amici ma nessuno è lì con te per prendere un caffè”. Anche essere amati diventa un bisogno come l’aria, o come il caffè, nella malinconica La risposta; ma questo amore può trasformarsi in una mania inquietante per un qualsiasi Oggetto piccolo (a), uno dei pezzi migliori dell’album, che parte in sordina, quasi sussurrato, per poi trasformarsi in un emozionante crescendo. Per sentire un po’ di chitarre graffianti c’è Il presidente, dove si gioca con una frase di Dylan Thomas, e anche il singolo Acque sicure ha un bel tiro rock-wave. Ma come già accennato, sono gli arrangiamenti a fare la parte del leone in questo album, con viole, violini e fiati molto spesso in primo piano a sostenere le canzoni, come nel pezzo in inglese Frequent flyer che apre il disco, e come nella cover dei Rokes È la pioggia che va (sì, proprio quella) a cui invece è affidata la chiusura.
Questo album lascia dunque intravedere una piccola speranza, “quelle macchie di azzurro e di blu”: il lunedì non è più il giorno odioso del ritorno al lavoro, ma il giorno positivo che segna un cambiamento, nonostante il permanere di brutture e tristezze. Ed è anche questo a rendere Il primo lunedì del mondo un lavoro prezioso, che conferma ancora una volta lo spessore artistico dei Virginiana Miller.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

una delle recensioni del disco dei virginiana più belle che ho letto.
Compliments
a.

Anonimo ha detto...

si, ma l'oboe?

Anonimo ha detto...

la buona volontà c'è tutta ma per confondere un oboe con un clarinetto basso bisogna essere sordi.
(in italia purtroppo mancano critici con strumenti reali per decodificare la musica... è strano che persone con nessuna o quasi preparazione musicale pensino di poterne scrivere più o meno professionalmente...
non che sia una tragedia, per carità, ma a sentire codesti strafalcioni mi salgono i brividi su per la schiena, ma forse è un problema mio...)

ad ogni modo, viva i virginiana!
un grandissimo gruppo!
l'accostamento con i baustelle c'è (che palle!) ma da una parte sola: i virginiana hanno inziato a sfornare dischi 10 anni prima, fate voi i vostri conti...

Anonimo ha detto...

A' regà, posso solo cospargermi il capo di cenere: a me era sembrato un oboe. Poi ho avuto dubbi e ho verificato che mi ero effettivamente sbagliato, ma ormai l'articolo era postato. Avrei certo dovuto controllare prima, avrei forse dovuto mettere un commento segnalando l'errore: ri-cenero la testa. Mi dispiace per i brividi, ma credo che anche se avessi scritto giusto l'economia generale della recensione non sarebbe cambiata di una virgola. Con questo non voglio certo giustificare un errore che c'è ed è indubbio; quello che voglio dire è che se mi fossi subito reso conto che si tratta un clarinetto basso non avrei detto che per questo l'album fa schifo.
Saluti! :)

Giuseppe (d'ora in poi detto il Sordo :D)

alex moore ha detto...

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