SECOND MAIN - OVVERO LA RIVINCITA DEI SOSIA D'ARTISTA

Parigi. Arte. Non si tratta del Louvre, nemmeno della retrospettiva su Jean-Michel Basquiat o su Larry Clark, non è la FIAC (Fiera Internazionale d'Arte Contemporanea) come neppure la mostra dedicata ad Arman dal Pompidou. Second Main è un'idea geniale che ha rinfrescato e ironizzato le sale del Museo d'Arte Moderna della Città di Parigi. Si tratta di una mostra di falsi d'autore, o meglio di veri-falsi d'artista. Anne Dressen, curatrice dell'esposizione, ha installato all'interno della collezione permanente del museo, tutta una serie di rifacimenti, copie, rivisitazioni che rimandano, in un fantasmatico ciclo ininterrotto, al feticcio originario da cui hanno preso ispirazione; il quale non è detto sia modello originario di se stesso. Bene, rilfettiamoci un pò su. In effetti, quale idea o manufatto (d'arte ma non solo) è talmente originale in sé da poter essere completamente slegato e senza riferimenti a qualcosa che è stato prima, e che sarà poi? Chi è l'essenziale? Esiste forse un padre-madre indipendente da alcuna determinazione, non solo visiva, anche culturale o politica, che fluttua solitario nell'universo artistico inconsapevole dell'esistenza altrui? Sembra che la risposta cercata sia no. Almeno stando a Second Main.
Pablo Picasso diceva: "Il n'y a pas de faux, il n'y a pas que des faux", e Salvador Dalì: "Ceux qui ne veulent imiter personne ne créent jamais rien". Apertura maggiore, oltre la visione che considera falso ciò che somiglia o tende verosilìmilmente a un modello considerato unico e primo. Questa mostra non fa altro che stimolarne la riflessione e porre un problema, non vincolato al passato, ma legato al presente delle nostre vite, quelle di tutti i giorni. Insomma, esisterebbe creazione artistica senza la copia?
Sappiamo come, soprattutto a partire dagli anni Sessanta, l'aura sacra dell'opera sia andata progressivamente svanendo, e come numerosi siano stati gli esempi concreti di contestazione contro l'idea di originilatià o di autore. La società ha smosso la sicurezza di chi aveva trovato il potere di creare per poi scoprirsi nient'altro che copiatore di ciò che da sempre è rincorso, l'arte. Ma possiamo anche spingerci più in là. La stessa copia considerata fasulla, non può essere essa stessa un originale? Per quanto possa risultare simile nell'aspetto o nell'idea, il falso è inevitabilmente unico. Stabilendo una certa distanza, un abisso, quasi impercettabile tra sé e l'origine, apre una dimensione altra, un linguaggio altro. E sembra che in questa riscrittura dell'identico, nell'introduzione di piccole cesure ma profonde, si possa dar corpo anche un autore collettivo e sociale.
Il problema delle copie, a pensarci bene, diventa d'attualità sconcertante: facilmente si riesce a far comprare al collezionista dottor Girardin un Modigliani, non proprio scaturito dalla mano di Amedeo. I falsi si installano nel corpo sociale ed economico come bacilli di virus che possono esplodere nelle mani dei più ricchi, provocando la beffa oltre il danno. Possiamo intravedere allora nell'attività di questi copisti, anche una critica politica e filosofica al mercato dell'arte, all'egemonia di un qualcosa che in realtà non è riconoscibile. Basta una firma ad autenticare l'opera? Se sì, allora che tipo di rapporto stiamo avendo con l'arte? Forse, nell'età della continua riproduzione, sono proprio i falsari a preservare un'originalità, una reinvenzione e rigenerazione?
A Second Main trovate, per esempio, un esquisse pour les Demoiselles d'Avignon di André Raffray che ovviamente rimanda al celebre quadro di Pablo Picasso; sempre di Raffray merita la Broyeuse de chocolat N°2 de Marcel Duchamp, Interrompue. Imperdibile è il Modigliani di Elmyr de Hory, personaggio esemplare nella storia dei falsi, immortalato dal grande Orson Welles nel film F for Fake. Interessante è il lavoro del collettivo britannico formatosi nel 1968 grazie a Michael Baldwin, Art&Language, che rimette in questione la modernità fondendo in una pratica collettiva e quindi anonima due stili opposti: il realismo sociale sovietico e la dripping di Jackson Pollock. Vi sono poi numerosi esemplari riconducibili alla Pop Art, come le riletture di Sophie Matisse delle opere di Roy Lichtenstein; la celebre NOT Manzoni (Merda d'Artista, 1969) e il NOT Warhol (Brillo Boxes, 1970) di Mike Bidlo. Lo stesso Maurizio Cattelan è presente come falsario con la sua Joseph Beuys' Suit (nella foto), allusione alla grandezza dell'artista e alla mitologia dell'arte. E molti altri ancora...

Giulia Bortoluzzi

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