LE BRACI DI UN'ANTICA AMICIZIA

Il romanzo di cui vorrei trattare in questa mia prima collaborazione è, a mio modesto giudizio, uno dei più intensi partoriti dall’immaginazione del suo autore, Sándor Márai (1900- 1989). Non a caso, fu, nel 1998, il primo scelto dall’editore Adelphi (con la sua solita meritoria lungimiranza) per far riscoprire questo scrittore al pubblico italiano. La vita di Márai, ottimamente descritta nel saggio della curatrice del volume Marinella D’Alessandro, posto al termine del romanzo, riflette i turbinosi eventi del secolo trascorso e al contempo i travagli personali comuni a molti contemporanei. È anche per questo, oltre che per i suoi scritti e per la sua prosa stupenda, che bisogna considerarlo fra gli scrittori più importanti del Novecento europeo, accomunato ad altri grandi che furono famosi per un certo periodo della loro vita per poi finire relegati ai margini dai cataclismi politici. Ma veniamo al libro, Le braci. Come introdurlo? Mi sento di poter affermare che esso avviluppa il lettore in una ragnatela di emozioni, facendolo prendere le parti ora dell’uno ora dell’altro protagonista in un vortice che, riga dopo riga, fa aumentare continuamente la tensione e conduce ad un finale che non si può dimenticare. Dopo quarantun anni, due uomini tornano ad incontrarsi in un castello ai piedi dei Carpazi dove vive, solo e in perfetto isolamento dal mondo, uno dei due, Henrik, un vecchio e stanco generale il cui unico scopo di esistenza è costituito proprio da questo incontro, atteso e immaginato in continuazione. L’altro uomo, Konrad, ha passato tutti quei decenni in estremo oriente, anche lui però attendendo quasi spasmodicamente il momento del ritorno. Da giovani i due, conosciutisi al collegio militare, nella stupenda Vienna capitale dell’Impero, erano stati inseparabili «come gemelli nell’utero materno. […] La loro a
micizia era seria e silenziosa come tutti grandi sentimenti destinati a durare una vita intera. […] Inoltre si resero conto, sin dal primo istante, che quell’incontro li avrebbe vincolati per tutta la vita». Finalmente, al termine di un “esilio” di quarantun anni, Konrad ritorna dall’oriente, per rivedere Vienna, del tutto cambiata – come ogni cosa, in Europa, dopo due orridi conflitti –: «Tutto ciò a cui giurammo fedeltà non esiste più» dice egli a un certo punto. Oltre a Vienna, è «questa casa» che Konrad vuole rivedere: si riferisce al castello del generale, nel quale i due, assieme anche a Krisztina, la moglie del generale, hanno trascorso tanto tempo in passato. Fra i due vecchi, in questa conversazione che intavolano dopo così tanto tempo – e che li porterà a discutere di tutto: dell’Oriente, della guerra, ma soprattutto della loro giovinezza e dei momenti, rivissuti nei minimi dettagli nelle loro menti, che hanno preceduto la loro separazione – compare così, nell’ombra, il fantasma di questa donna, che pur non avendo mai tradito il marito ha scavato un solco profondo fra i due amici, che non si è ancora richiuso dopo più di quarant’anni. È questo segreto condiviso da ambedue, questa «forza che brucia il tessuto della vita come una radiazione maligna, ma al tempo stesso dà calore alla vita e la mantiene in tensione», che ha permesso loro di sopravvivere in mezzo a «la pace e la guerra, […] cose miserabili e cose grandi, […] [lo] scatenarsi della lotta e [il] ristabilirsi dell’intesa», per incontrarsi di nuovo e parlare, parlare, parlare per una nottata intera, tra il caminetto che arde e il temporale che infuria sulla stupenda campagna circostante, riscoprendo così «le braci» che covavano sotto la cenere della loro lontananza.
Tutto quanto è destinato ad arrivare al duello finale, un duello «senza spade» fra le illusioni che i due amici si sono creati sulla decisività di questo loro ultimo incontro, e che si riveleranno infondate, soprattutto per Henrik, il quale vede la sua rivincita dissolversi diventando essa stessa un’illusione, durante la notte in cui si compie. Il fascino del libro va attribuito anche allo stupendo modo di scrittura di Márai, la cui prosa limpida, lineare eppure profondissima, incalzante, lascia il lettore senza scampo e lo costringe ad andare avanti, fino all’ultima riga, senza tediarlo minimamente: ogni parola è ben collocata, ogni frase prende chi legge per la sua nitidezza e le pagine scorrono veloci, fino all’epilogo finale. Uno stile che favorisce la lettura e riesce al contempo a veicolare riflessioni profonde sull’amicizia, sull’amore, ma anche sui cambiamenti apportati a ogni cosa dal tempo che scorre e dalle guerre che uccidono, immergendo il lettore in un’atmosfera calda, antica ma allo stesso tempo estremamente suggestiva, da cui si rimane indelebilmente colpiti. In conclusione, Le braci lascia in chi lo legge la sensazione di una prosa straordinaria e di una storia avvolgente, come la calda fiamma di un caminetto scoppiettante mentre fuori imperversa il temporale.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Vorrei tanto sapere chi è l'autore di questa sommaria recensione! Autore tanto sicuro di se da poter affermare, senza tema di smentita, che "bisogna considerarlo (Marai) fra gli scrittori più importanti del Novecento europeo". Senza dubbio uno dei recensori più modesti che io abbia mai letto! Complimenti!