UNO STILE BRUTALE, QUELLO DI RUBEN FONSECA

Se non avete mai sentito parlare di Rubem Fonseca, questa è una buona occasione per farsi un’idea su questo autore contemporaneo brasiliano e approfittare della lettura di uno dei suoi racconti che potrebbe risultare puramente sconvolgente.


Rubem Fonseca nasce a Juiz de Fora (nello stato di Minas Gerais, Brasile), l’11 maggio del 1925; la sua biografia è irregolare poiché esercita varie attività professionali prima di dedicarsi nella vita completamente alla letteratura. Gli studi in legge, le nozioni di medicina legale, ma soprattutto la professione di commissario di polizia esercitata nella favela Ciudade de Deus, hanno inciso profondamente nella sua vita e nella sua formazione letteraria  poiché gli anni in cui ha lavorato nelle favelas gli hanno permesso di essere lo scrittore brasiliano che più ha avuto contatto con quella realtà.
Le favelas, ovvero le baraccopoli brasiliane costruite in genere nelle periferie delle gradi città (prevalentemente con materiali di scarto), sono spesso considerate una disgrazia ed una vergogna dai brasiliani ma possono essere viste come una conseguenza della distribuzione ineguale della ricchezza del paese. Il degrado sociale e la povertà favoriscono il sorgere di attività criminali, per questo sono da sempre luogo di attività malavitose legate alla droga e alla guerra tra gang (vi consiglio la visione del film  Cidade de Deus diretta da Fernando Meirelles, esemplare unico di stile Neorealista che documenta la violenza delle favelas ).
L’attività narrativa di Fonseca, nasce appunto dall’urgenza di manifestare attraverso i suoi racconti il malessere della società brasiliana che si estende a tutta l’umanità immersa nella metropoli dove tantissimi individui vivono in maniera eterodiretta e finiscono con il sentirsi frustrati. E la frustrazione del “não ter”, di non avere, della povertà estesa a tutti i campi (intellettuale, economica, sessuale…) genera una violenza insaziabile che Rubem Fonseca rielabora nelle sue cronicas facendola diventare leitmotiv letterario.
Il libro più discusso di Rubem Fonseca, Feliz Ano Novo, è una raccolta di quindici racconti, edito nel 1975 viene censurato un anno dopo la sua pubblicazione con l’accusa di attentato alla morale e al buon costume; siamo negli anni della dittatura, di censura politica e culturale in un contesto sociale agitato dove non c’è spazio per una Literatura comprometida, non c’è spazio per una voce scomoda come quella di Fonseca, che si cimenta a scrivere della città e dei suoi problemi. È un nuovo tempo per la storia del Brasile e la produzione di Fonseca arriva al limite del chocante, in cui il contesto sociale si traduce in violenza come forma di trasgressione davanti alle nuove sfide della società. L’autore si definisce un navegator, colui che metaforicamente naviga nel mare della quotidianità carioca fatta di tormentos. Nasce da questa precisa volontà la verosimiglianza che troviamo nei suoi racconti, dove Fonseca traspone in letteratura il quotidiano della metropoli in cui vive, Rio de Janeiro, metafora del Brasile contemporaneo. La sua scrittura è violenta, brutale, asciutta e molto spesso volgare nelle descrizioni , che risultano oscene e ripugnanti; l’uso di molti registri linguistici contribuisce, nella sua scelta stilistica a dare un effetto  catalizzatore: per questo non si parla solo di un linguaggio brutale e chirurgico, ma anche di un vero e proprio linguaggio cinematografico che è capace di raffigurare l’orrore e di ‘far vedere’ la violenza dilagante.
Per farvi un’idea di quello che ho introdotto vi lascio con la lettura con una crônicas di Rubem Fonseca:


Ciudade de Deus
Il suo nome è João Romeiro, ma nella Cidade de Deus tutti lo conoscono come Zinho, una favela di Jacarepaguà, dove chi fa da padrone là è la droga. Lei è Soraia Gonçalves, una donna dolce e tranquilla. Soraia aveva scoperto che Zinho era trafficante di droga due mesi dopo che avevano cominciato a vivere insieme in un condominio di classe medio-alta a Barra di Tijuca.
- Ma ti dispiace? - le aveva chiesto Zinho, e lei aveva risposto che nella sua vita c'era stato un uomo che sembrava un uomo per bene ma che in realtà era un mascalzone.
Nel condominio, si crede che Zinho sia rappresentante di una ditta di importazione. Quando arriva una grossa partita di droga nella favela, Zinho scompare per qualche giorno e per giustificare la sua assenza, Soraia dice alle vicine che incontra nel cortile o in piscina che il marito è in viaggio per affari. La polizia lo cerca da sempre, ma conosce solo il suo soprannome e sa che è bianco. Non l'hanno mai beccato.
Stasera Zinho è arrivato a casa dopo aver spacciato per tre giorni la cocaina speditagli dal suo fornitore di Porto Suarez e la marijuana che viene da Pernambuco.
I due si sono coricati. Zinho era rapido e rude e dopo aver fottuto la moglie, si girava dall'altra parte e si addormentava.
Soraia non diceva mai nulla, stava sempre zitta, non prendeva mai l'iniziativa: ma a Zinho piaceva così; a lui piaceva che la moglie gli obbedisse a letto così come gli altri gli obbedivano nella Cidade de Deus.

- Prima che ti addormenti, ti posso chiedere una cosa?
- Dimmela subito. Sono stanco e voglio dormire, amore.
- Saresti capace di uccidere una persona per me?
- Tesoro, io uccido qualcuno perché lui mi ha rubato cinque grammi, credi che non ucciderei qualcuno perché tu me l'hai chiesto?! Dimmi chi è. È qualcuno del condominio?
- No.
- Di dove è?
- Vive a Taquara.
- E che ti ha fatto?
- Nulla. È un bambino di sette anni. Tu hai già ammazzato un bambino di sette anni?
- Ho già fatto sparare a due merdine che se la volevano squagliare con delle bustine, per dargli un esempio, ma penso che avessero dieci anni. Perché vuoi uccidere un moccioso di sette anni?
- Per far soffrire sua madre. Lei mi ha umiliato. Mi ha portato via il ragazzo, mi ha preso in giro e ha detto a tutti che io ero una vacca. Poi se l'è sposato. Sai, lei è bionda, ha gli occhi azzurri e si crede d'essere il top.
- Vuoi vendicarti perché ti ha portato via il ragazzo? Ma non è che ti piace ancora quel pezzo di merda?
- No, a me piaci solo tu. Tu sei tutto per me. Quella merda di Rodrigo non vale nulla, lo disprezzo e basta. Voglio fare in modo che quella donna soffra perché mi ha umiliato, mi ha chiamato "vacca" di fronte a tutti.
- Potrei ucciderlo.
- Ma nemmeno a lei, lui piace tanto e io voglio che quella donna soffra molto. È solo la morte del figlio che potrebbe farla disperare.
- Va bene. Sai dove è che sta il bambino?
- Sì, lo so.
- Farò andare a prendere il moccioso e lo farò portare alla Cidade de Deus.
- Ma non farlo soffrire troppo.
- Ma non è meglio se quella puttana viene a sapere che il figlio ha sofferto molto? Dammi l'indirizzo. Domani faccio fare il lavoretto. Taquara è vicino alla mia zona.

La mattina seguente, Zinho uscì con la macchina molto presto e andò alla Cidade de Deus. Rimase fuori per due giorni. Quando tornò, portò Soraia in camera da letto e lei, docile, obbedì a tutti i suoi ordini. Prima che lui si addormentasse, lei gli chiese:

- Hai fatto quello che ti ho chiesto?
- Faccio sempre quel che prometto, tesoro. Ho mandato i miei ragazzi a prendere il bimbetto a scuola e l'ho fatto portare alla Cidade de Deus. All'alba gli hanno spezzato le braccia e le gambe, a quel moccioso, lo hanno strangolato e lo hanno tagliato a pezzi e dopo lo hanno lasciato davanti alla porta di casa della madre. Scordati quella cazzo di storia, non né voglio più sentir parlare - disse Zinho.
- Me la sono già scordata.

Zinho le diede le spalle e si addormentò. Aveva un sonno pesante. Soraia rimase sveglia ad ascoltare Zinho che russava. Poi si alzò e prese il ritratto di Rodrigo che teneva nascosto in un posto dove Zinho non l'avrebbe mai trovato. Ogni volta che Soraia guardava il ritratto dell'ex-ragazzo, i suoi occhi si riempivano di lacrime. Era sempre stato così in tutti quegli anni. Ma quel giorno le lacrime furono molte di più.

- Amore della mia vita… - disse, premendo il ritratto di Rodrigo sul suo cuore in tumulto.


Francesca Coltraro

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